Ridley Scott e la cybercultura al cinema

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Il cinema, si sà, è un terreno impervio, ricco di fascino e pieno di difficoltà. Pochi sono riusciti ad attraversarlo indenni e con successo, e tra questi il nome di Ridley Scott non può non figurare. Regista estremamente prolifico e dallo sconfinato immaginario, Scott è riuscito per oltre tre decenni a maneggiare la materia di celluloide, e con essa la mente ed il cuore del pubblico, come solo pochi altri sono riusciti a fare, plasmando un immaginario estremamente eclettico ed eterogeneo, destreggiandosi agilmente tra i diversi generi, contaminandoli e mantenendosi a metà strada tra autorialità e logica del consumo.

 

Nel corso della sua brillante carriera, è riuscito a elaborare una personalissima poetica che lo ha reso immediatamente riconoscibile tanto all’occhio attento del cinefilo, quanto alla visone distratta del pubblico generalista. Il suo è un mondo ordinato, a dir poco maniacale nella composizione dell’immagine, una bulimia visiva che si sposa alla perfezione con storie profonde, complesse, sempre legate ai grandi problemi ed interrogativi dell’uomo. Una specie di esistenzialismo post-moderno insomma.

 

Classe 1937, Scott proviene da un’educazione artistica e fotografica, svoltasi al cospetto del Royal College of Art di Londa, dove, ancora giovanissimo, contribuisce alla creazione del dipartimento cinematografico e grazie al quale gira nel 1965 il primo cortometraggio Boy and Bicycle. Dopo una pesante gavetta, svolta assieme al fratello Tony, presso la BBC, all’inizio degli anni ’70 la sua fama inizia a crescere all’interno del settore pubblicitario, soprattutto dopo il celebre spot per il lancio dell’Apple Macintosh, ispirato al romanzo 1984 di G.Orwell, in cui si trovano alcuni degli stilemi che ricorreranno nel suo cinema successivo, come la predilezione per la fantascienza utopica e la cybercultura.

Il suo esordio sul grande schermo arriva nel 1977 con I duellanti, storia in costume apparentemente lontana dalle sue corde ma che gli vale il premio della Giuria al Festival di Cannes. Grazie alla fama acquisita, nel 1979 gira Alien, innovativo approccio alla fantascienza che lo consacra nell’olimpo della storia del cinema e che si pone come spartiacque della fantascienza anni ’50 e ‘60. Sarà l’inizio di una vera e propria saga, che sfornerà ben tre sequel e numerosi spin-off interfacciati alla trama dei Predator, per poi confluire nel prequel Prometheus (2012). Nel 1982, sull’onda del successo, esce Balde Runner, altro capolavoro e cult di fantascienza, ispirato al romanzo utopico di P.K. Dick, in cui si trovano esperimenti visivi una contaminazione tra fantascienza e noir, con molti riferimenti a Metropolis (1927) di F.Lang.

Alien e Blade Runner saranno protagonisti di numerosi tagli e manipolazioni, che solo in tempi recenti hanno dato vita ad una director’s cut non del tutto definitiva. Il periodo 1985-1989 segna una sonora battuta d’arresto per il regista, il quale sforna alcuni pesanti insuccessi commerciali come Legend (1985), Chi protegge il testimone (1987) e Black Rain (1989), film molto intimisti che non incontrano il favore di un pubblico. Il riscatto arriva nel 1991 con Thelma & Louise, diventato un vero cult generazionale, malgrado sia una normalissima storia di amicizia on the road. Tra il 1992 e 2004 Scott si dedica all’estetica del colossal, sforando superproduzioni come 1492 (1992), Il gladiatore (2000) e Le crociate (2005). Anche se orientato verso la logica del botteghino, il regista non rinuncia all’inconfondibile e maniacale cura per il dettaglio e per la sperimentazione digitale, alternandosi al vecchio amore per i drammi intimisti che vedranno la luce in L’Albatross e Soldato Jane.  Nel 2001 partecipa al rischioso progetto di Hannibal, sequel de Il silenzio degli innocenti, iniziando così una rapida discesa che lo porterà a dedicarsi a progetti sempre meno personali e sempre più orientati al facile consumo, come Il genio della truffa (2003) e American Gangster (2007).

Solo nel 2010 Scott tenta di ritornare ai vecchi splendori del passato con la trasposizione di Robin Hood, ma ancora una volta pare non riuscire a trovare un equilibrio con le aspettative del pubblico. Ed eccoci giunti in attesa dell’uscita, fissata in Italia per il 30 gennaio, di The Counselor, ultima fatica del regista britannico, ambientata nel mondo corrotto dell’avvocatura americana. Un film maledetto sotto tutti i punti di vista, poiché teatro dell’inaspettato suicidio, avvenuto a metà delle riprese, del fratello Tony. Un film che tratta di droga, corruzione ed eccessi, temi che ben si sposano con l’esistenzialismo di Scott e che paiono ben inquadrati in una logica di autorialità e consumo che mancava da molto tempo nella filmografia del regista.

Matteo Vergani
Matteo Vergani
Laureato in Linguaggi dei Media all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, studiato regia a indirizzo horror e fantasy presso l'Accademia di Cinema e Televisione Griffith di Roma. Appassionato del cinema di genere e delle forme sperimentali, sviluppa un grande interesse per le pratiche di restauro audiovisivo, per il cinema muto e le correnti surrealiste, oltre che per la storia del cinema, della radio e della televisione.
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