In un’epoca dove si denuncia la scarsa attenzione rivolta alle donne, in ogni campo ma soprattutto in quello dell’industria cinematografica che manca di scrivere personaggi femminili degni di nota, la stagione dei premi sembra profilarsi sulla scia dei soliti nomi, divisi tra giovani “veterane” e vecchie certezze. Senza troppe sorprese, quest’anno l’Academy ha pronunciato la sua lista di nominate come Migliore Attrice Protagonista lasciando fuori alcune personalità ben più spiccate e rilevanti nell’anno cinematografico appena concluso; restando ancorata a certe scelte imposte “dall’alto” ma provando tuttavia a cambiare rotta, se non altro con lo sguardo rivolto alle nuove promesse del futuro.
Apre la cinquina di
candidate l’eterea Cate Blanchett. Già due volte
premio Oscar (nel 2005 come non protagonista in The
Aviator di Martin Scorsese e nel 2014 come protagonista per
Blue Jasmine di Woody Allen), l’australiana non teme
confronti perchè il suo status attuale ne permette assai pochi.
Corteggiata e lodata dall’Academy, che le ha riservato altre cinque
nomination in carriera (Elizabeth, Diario di uno scandalo, Io
non sono qui, Elizabeth: The golden age), la Blanchett aleggia
come uno spettro di perfezione assoluta, come una dea e
un’interprete irrangiungibile; in Carol (seconda
collaborazione con Todd Haynes), dove la vediamo
tratteggiare i sintomi maturi dell’amore verso Rooney
Mara, ribadisce quella differenza sostanziale con le
colleghe, fatta di dettagli, freddezze, tutte espresse con la
solita, splendida autorità. Vincerà la terza statuetta? Ci pare
improbabile, ma staremo a vedere.
Favorita dai pronostici e
dai riconoscimenti finora ottenuti, la ventiseienne Brie
Larson è decisamente la sorpresa di questo gruppo. In una
recente roundtable dell’Hollywood Reporter, che ospitava anche le
altre candidate agli Oscar, l’attrice di Room ha
confessato un dettaglio della sua lenta ascesa verso la notorietà,
spiegando che a lungo “per i produttori non ero abbastanza
carina per recitare la parte di quella carina, né abbastanza
sgradevole per recitare la parte di una ragazza brutta”. Dal
limbo delle dimenticate da Hollywood a causa dell’estetica, Brie
Larson è spuntata fuori a colpi di commedia (lavorando con Judd
Apatow, Edgar Wright e Noah Baumbach) e scegliendo con cura i suoi
ruoli, spesso rimanendo nel cinema indipendente americano. Oggi,
grazie al film di Lenny Abrahamson, viene lodata
dalla critica e si presenta agli Oscar 2016 come vincitrice di un
Golden Globe, uno Screen Actors Guild Award e un Critic Choice
Award. La rivalsa di Brie meriterebbe senza dubbio il
riconoscimento più ambito.
Chi gode di uno speciale
trattamento oggi, è sicuramente la ragazzaccia del Kentucky
Jennifer Lawrence. Il suo temperamento genuino
(forse troppo) l’ha resa una scheggia impazzita nel rigore
dell’industria hollywoodiana, in costante ricerca di modelli ideali
da proporre alle giovani generazioni e al cinema che verrà. Sarà
per questo che negli ultimi anni l’attrice è stata protagonista di
un’importante saga distopica (Hunger Games) e di un noto
franchise fumettistico (X-Men), ma anche di diversi
fallimentari episodi (Una folle passione). Un percorso
artistico variegato che l’ha spesso richiamata al nido, quello del
suo regista preferito David O. Russell: con lui
gira tre film, Il lato positivo (che le valse l’Oscar nel
2013), American Hustle e infine Joy. Il ritratto
della più celebre imprenditrice americana del nostro secolo è
l’occasione perfetta per ripresentarsi nella stagione dei premi
aspettando, con soddisfazione o delusione di tanti, l’ennesimo
riconoscimento. L’aver stretto tra le mani il terzo Golden Globe
della carriera potrebbe, oppure no, rappresentare la vera sopresa
nella notte del 28 Febbraio.
Ad onorare la
categoria, quest’anno c’è la meravigliosa veterana
Charlotte Rampling. E’ la più anziana del gruppo e
si presenta avendo già conquistato il prestigioso Orso d’argento
come Migliore attrice al Festival di Berlino per la sua intensa
interpretazione in 45 Years. Curioso come in quasi
cinquant’anni di carriera, la Rampling abbia ottenuto una sola
candidatura agli Oscar (questa, precisamente) e quattro nomination
ai Cesar, gli Oscar del cinema francese. Sembra assai improbabile
una vittoria in terra americana ma, nell’immaginario di ogni
spettatore sensibile, rimarrà congelata la Kate Marcer del film di
Andrew Haigh, come un dono prezioso al cinema.
Classe 1994, un accento
irlandese piuttosto pronunciato e un destino tra le grandi che
veniva segnato in tenera età, quando creava l’inganno e tesseva le
fila di una tragedia in Espiazione di Joe Wright.
All’epoca Saoirse Ronan aveva soltanto 13 anni e
una personalità ben definita: per questo non soprende vederla
sfilare accanto alle attrici veterane di questa stagione molto
debole per le donne, una stagione dove invece bisogna riconoscere
il lavoro svolto in silenzio e a testa bassa come è solita fare la
più giovane tra le nominate all’Oscar 2016. Ha lavorato con
chiunque, spesso vestendo i panni della protagonista assoluta, come
nello struggente Amabili resti di
Peter Jackson o nel tesissimo
Hanna di Joe Wright; poi
il salto verso la notorietà, con The
Host, The Grand Budapest
Hotel di Wes Anderson,
Lost River, il film esordio di
Ryan Gosling come regista e
Brooklyn. Grazie all’interpretazione di
Ellis Lacey, immigrata irlandese in America nel 1952, ottiene la
sua seconda nomination agli Oscar, dopo quelle ai Golden Globe e ai
Bafta.