L'ora più buia

Settima regia del visionario ed esibizionista (per sua stessa definizione) Joe Wright, L’ora più buia è l’altra faccia di Dunkirk di Christopher Nolan, racconto intimo della figura politica che rilanciò l’orgoglio di una nazione in ginocchio durante il terrore della seconda guerra mondiale. L’anno è il 1940 e Winston Churchill, Primo Ministro britannico da pochi giorni, deve scegliere se firmare un armistizio con la Germania nazista, dunque negoziare con il nemico dichiarato, o se difendere gli ideali del proprio paese e provare a salvare le sorti del conflitto. Il resto della storia è noto, ed è stato affrontato da Nolan nella sua asfissiante pellicola sul potere del tempo e del sacrificio. Stavolta a Joe Wright non interessa l’epica, né i grandi scenari – un vezzo che si era concesso sia in Espiazione che in Hanna – ma la vicinanza fisica al suo protagonista, interpretato sullo schermo da Gary Oldman.

 

Ne esce fuori il più crepuscolare e politico dei film del regista, che ha sempre prediletto un uso della macchina da presa estremamente “mobile” e quasi “danzante” e che qui invece sfrutta al meglio le doti dei suoi attori e la carica emotiva del racconto di quella maledetta “ora più buia”. Quella che separa l’uomo dalla decisione più importante della sua vita, e dalla salvezza (o meno) di un’intera nazione.

L’ora più buia, recensione del film con Gary Oldman

L'ora più buiaEra piuttosto scontato, visti i precedenti delle edizioni passate, che la pellicola si presentasse alla notte dei 90° Academy Awards con ben sei nomination (Miglior Film, Miglior Attore Protagonista, Miglior Scenografia, Miglior Trucco e Migliori Costumi), concorrendo nelle categorie che meglio rispecchiano l’ottima produzione e il meticoloso lavoro dietro la performance di uno straordinario Oldman. Sotto la maschera però si cela il carisma di un attore da decenni “ignorato” dagli Oscar che quest’anno potrebbe finalmente portarsi a casa l’ambito premio, dopo quelli conquistati ai Golden Globes, Sag, Bafta e Critic’s Choice. Una strada in discesa per il fuoriclasse inglese.

Niente da dire sulla qualità dell’immagine e sullo studio del quadro cinematografico ad opera del direttore della fotografia Bruno Delbonnel (collaboratore dei fratelli Coen), capace di riportare l’estrema precisione della visione del regista in un continuo rimando ad opere pittoriche come è ormai nello stile collaudato di Wright da Orgoglio e Pregiudizio ad Anna Karenina. Se poi aggiungiamo la pregevole fattura delle scenografie e il ruolo chiave del reparto trucco e parrucco, non farebbe scalpore una vittoria di L’ora più buia in queste specifiche categorie.

Tra i nove nominati a Miglior Film quello di Wright ha decisamente poche chance di ottenere la statuetta, estremamente classico e molto lontano dalle questioni di genere e dalle discussioni intavolate quest’anno ad Hollywood; tuttavia resta la bravura cristallizzata e il talento di un autore (perché tale è) come Joe Wright e il talento senza limiti di Gary Oldman, vero senatore insieme a Daniel Day Lewis, in una cinquina che ha favorito volti nuovi e altri di sicuro capitati lì per caso.

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