Abbas Kiarostami È stata presentata questa mattina, l’ultima pellicola del regista iraniano Abbas Kiarostami, Qualcuno da amare presso la Casa del Cinema a Roma. Il film è distribuito dalla Lucky Red ed esce il 24 Aprile in circa 50 copie, il film era stato presentato all’ultima edizione del Festival del Cinema di Cannes. Alla conferenza stampa ha partecipato il regista.

 

Qual’è il suo rapporto con il cinema giapponese, come spettatore e come cineasta?
Abbas Kiarostami:
Fino a questa mattina credevo che il film fosse un film iraniano-giapponese, un connubio tra questi due, ma questa mattina vedendo il film mi sono reso conto che è un film giapponese-iraniano-italiano. Spesso avevo detto che ho fatto questo film perché mi piacevano i giapponesi, mi piaceva l’ambiente, però questa mattina riflettendo ho visto che il film è qualcosa che è dappertutto e noi troviamo questa idea che appartiene a tutti. Quando siamo lontani crediamo di essere molto differenti tra di noi, ma se riflettiamo vediamo che queste lontananze ci creano soltanto incomprensioni in realtà ci somigliamo tantissimo.

Come ha scelto gli interpreti? Li conosceva o ha fatto dei casting?
A.K.:
Il film è stato girato in giapponese, tutti gli attori e l’equipe era giapponese io ero il regista ospite, ho iniziato il film tramite casting, ho cercato il protagonista tra molti attori professionisti ma mi sono trovato in difficoltà e non ho avuto successo, poiché tutto gli attori anziani erano abituati a recitare e questo nel mio cinema non andava bene, mi serviva una recitazione naturale, perciò ho dovuto allontanarmi da questa scelta è ho cercato il protagonista tra le comparse. Il signor Tadashi Okuno mi diceva che erano 50 anni che faceva la comparsa e non aveva mai detto una parola, non accettava di essere il protagonista del mio film, ma gli ho spiegato che non doveva parlare e che c’erano pochissimi dialoghi. Di due pagine in due pagine, ho cercato che lui andasse avanti. Quando il film è finito, avevo una grandissima stima del signore, perché è un personaggio molto vigoroso, sereno e responsabile, lui mi ha ringraziato tantissimo e mmi ha detto che era molto contento di aver lavorato con me, ma era stato molto difficile per lui e non vuole più continuare come attore ma vuole tornare ad essere una comparsa. Una dei motivi per cui sono andato in Giappone a girare questo film è perché credo che ancora nel modo esistono persone come lui.

Quando ha iniziato a pensare che l’abitacolo di una macchina potesse essere il luogo dove esprimere il suo cinema?

A.K.: Dal 2002 ho cominciato a portare la macchina da presa dentro l’abitacolo di una macchina, direi che l’abitacolo di un’automobile è simile a qualsiasi altro luogo è una scelta personale di una location, la volta precedente avevo promesso ai miei spettatori di non fare più riprese all’interno di una macchina ma dopo mi sono ricordato che il film successivo è all’interno di una macchina, poi smetterò ma ripensandoci ci sono altri due film che dovrò fare che sono all’interno di una macchina! Poi mi domando, dove altro potrei mettere due generazioni così lontane, due realtà così differenti,  un anziano e una giovane che parlano tra di loro in un modo intimo mentre non si guardano, non si vedono, ma hanno un legame che si crea in un ambiente così stretto, non ho trovato nessun altro spazio. Dovunque mi servirà un abitacolo di una macchina io ci entrerò e gli spazi aperti li potrete vedere dai finestrini della macchina.

Il suo film è immerso nella Tokyo di oggi, questo confronto/scontro tra generazioni e i villaggi e la metropoli, le piacerebbe tornare a girare in Giappone?

A.K.: Quando ho scritto la sceneggiatura e l’ho proposto al mio produttore, mi ha guardato un po’ male, ma io non sapevo se avrei fatto un film buono o no però volevo fare un film giapponese. E quando il film è terminato le persone che hanno visto il film, mi hanno detto di non aver visto l’ombra e lo sguardo di uno straniero. Ma devo dire che è stato molto duro e molto difficile.
Durante le riprese mi è venuta a trovare l’assistente di Kurosawa, la signora Moganì e mi ha visto con il bastone e io ero veramente provato e mi ha raccontato un aneddoto, ho visto la stessa reazione ed esperienza quando Kurosawa faceva il film in Russia, Dersu Uzala, ed era devastato e ogni notte piangeva, io ho risposto che non piangevo ogni notte, ma una si e una no.

Come mai questa fine quasi non fine? Ha altri progetti?
A.K.:
Il finale non è strano ma inusuale, quando ho mandato la sceneggiatura al produttore francese, sono arrivato all’ultima scena e mi è venuto da scrivere “The End”, inseguito ho scritto al produttore che avevo tempo per pensare ad un altro finale, ho riflettuto un anno, ho dovuto riflettere un anno per quello che è successo in Giappone nel 2011 però alla fine ho deciso che questo era il finale che mi piaceva di più. Questa è stata la mia giustificazione, qual’è la storia in cui noi siamo presenti dentro e consideriamo che la fine è la fine della storia? Noi arriviamo a metà strada e dopo un po’ abbandoniamo la storia e proseguiamo ma la storia non finisce, la storia continua, noi entriamo ed usciamo. Perciò possiamo pensare che la fine del film non è la fine della storia, la storia può continuare ed il professore può avere altre avventure, altre storie da continuare ma noi abbiamo finito a 100 minuti.

Ho una sceneggiatura già pronta, ho individuato già una location, ho quasi deciso il protagonista perciò se dovessi fare un film lo farei su questa sceneggiatura però in questo momento non ci sono condizioni, io personalmente non ho le condizioni opportune per farlo.

Qualcuno da amare Abbas KiarostamiChe percorso ha fatto il film da Cannes? E se il film uscito in Giappone ed Iran quali sono state le reazioni?
A.K.:
Non ricordo esattamente, ma circa 20 paesi hanno portato o stanno portando sugli schermi questo film. Per quanto riguarda il Giappone, anche se non con totale certezza, posso dire che ci sono state due reazioni completante opposte: quelli che hanno amato fortemente il film e quelli che non lo hanno assolutamente accettato. Dovrei aggiungere, che in Giappone gran parte della popolazione non ama il cinema tradizionale giapponese, ovviamente il mio cinema, ha avuto l’influenza dei grandi registi giapponesi come Ozu e Mizoguchi‎. Perciò posso dire che adesso in Giappone, gran parte dei cineasti riproduco il cinema americano e non amano il loro cinema tradizionale. È strano, ma negli Stati Uniti ha avuto un grandissimo successo e la critica ha accettato molto bene questo film è ha avuto un importante vendita. Sembra che il Giappone e l’Europa hanno più interesse per il cinema hollywoodiano mentre gli americani stessi si sono distaccati e si stanno interessando al cinema d’autore e al cinema europeo. In Iran non è uscito, non c’è stata la possibilità io ho proposto di doppiare il film e di poter presentare il film, ma non è stato accettato. Ma il film in formato video con sottotitoli in inglese è stato distribuito.

Perché non è uscito in Iran?

A.K.: non vorrei entrare nei dettagli, ma è difficile poter dire che rapporto c’è tra me è il governo iraniano, in realtà non ci capiamo, ci sono delle difficoltà. Il mio film non ha nulla per essere censurato, ma non c’è questa reciprocità e comprensione.

Lei in passato ha girato in Toscana, forse girerà in Puglia, cosa le piace del nostro cinema e del nostro paese e se ha dei registi di rifermento anche nel passato.
A.K.:
Elencare i registi italiano che amo mi poterebbe ad omettere qualche nome e mi sentirei in imbarazzo, l’impronta del mio cinema parte dal neorealismo italiano. Conosco da molti anni l’Italia e la conosco tramite il suo cinema piuttosto che nelle passeggiate tra le varie città. Ho un senso di familiarità quando sono in Italia e non è solo per me, ma per gran parte degli iraniani, amano l’Italia e si trovano bene in Italia. Tutta la mia adolescenza passava da un cinema all’altro a vedere i film italiani, per me e i compagni della mia generazione al di fuori dell’Iran cerca solo l’Italia.

La creatività in Iran si sta proponendo con molta forza, non crede?
A.K.:
Per quanto riguarda la creatività questa va al di là delle condizioni sociali di un paese, questa è un qualcosa che non può essere in nessun modo soffocata e nessun sistema può soffocare la creatività e potrei dire che oggi, nonostante le grandissimi difficoltà sono testimone di una vivace creatività artistica in Iran. Vedo e conosco giovani colleghi, nell’ambito cinematografico, che stanno esprimendo in mondo eccellente e molto creativo. Perciò posso dire che la condizione sociale qualche volta potrebbe addirittura aiutare a vivacizzare sempre di più la creatività.

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Stefania Buccinnà
Sono un appassionata di Cinema e Serie televisive americane, motivo per cui mi sono iscritta all'università e mi sono laureata in Saperi e Tecniche dello Spettacolo Digitale presso l'università La Sapienza in Roma dove ho conseguito anche un Master di Primo Livello in Montaggio Video e Audio. Amo costruire strutture per immagini e scrivo per piacere, pensando che le due cose sono molto simili ma con grammatiche diverse. In fondo per me, scrivere una frase è come mettere insieme una scena.