Nel giorno zero del Festival di Berlino 2016, sotto una pioggia copiosa e un freddo come sempre pungente, è Ave, Cesare dei fratelli Coen ad aprire le danze alla presenza dei due registi e di gran parte dello sterminato cast del film. Un lavoro eclettico all’estremo, surreale, che omaggia una romantica Hollywood anni ’50, ma attenzione a chiamarlo “nostalgico”. “Non possiamo certo definirci nostalgici, non abbiamo vissuto quella epoca” ha subito chiarito Joel Coen, “ci piaceva soltanto omaggiare un’idea di perfezione che avvolgeva quel tipo di produzioni, molto patinate, ma che è comunque lontana dal nostro modo di fare cinema.” Si parla di un’epoca in cui tutto era sopra le righe, artefatto ma allo stesso tempo molto umano, durante la quale non mancavano certo i problemi: il soggetto del film si basa proprio sulla vita di Eddie Mannix, un ’fixer’ pronto a risolvere qualsiasi problema, anche scatenato da incompatibilità fra registi e attori.
“Non abbiamo mai avuto
grossi problemi con i nostri attori, nella nostra carriera. Non
abbiamo avuto neanche bisogno di trattarli male, solo una volta ci
siamo comportati in modo pessimo con Michael
Stuhlbarg. Gli abbiamo detto che avrebbe avuto una parte
in A Serious Man ma senza entrare nello specifico, se non fino a
tre/quattro settimane prima dell’inizio delle riprese, siamo stati
abbastanza cattivi.” Abbiamo parlato di un film surreale, con
decine di attori magnifici autorizzati a rompere le righe e ad
esagerare, secondo i registi però la vera surrealtà è
altrove: “L’idea che Donald Trump possa guidare
gli Stati Uniti, quello si che è surreale”. Chi invece non ha
bisogno di etichette, poiché può essere qualsiasi cosa solo
volendolo – dal cronista impegnato al giullare a comando – è
George Clooney, nel film invischiato in un
complotto comunista: “Se sono mai stato iscritto al partito della
falce e del martello? Mi appello al quinto emendamento, no
comment.”


