Ciro D’Emilio racconta la sua opera seconda Per niente al mondo

Per niente al mondo ciro d'emilio

Protagonista del weekend della 23° edizione del Sudestival, attualmente in corso in Puglia, il regista Ciro D’Emilio presenta in concorso Per niente al mondo, il suo secondo lungometraggio che segue il successo di Un giorno all’improvviso, che già aveva stregato pubblico e critica in occasione della 75° Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, dove era stato presentato nella sezione Orizzonti.

 

D’Emilio torna dunque a raccontare per il cinema, e sebbene, come ci tiene a sottolineare lui stesso, è difficile parlare di stile e linguaggio in merito a un autore al suo secondo film, ci sono sicuramente dei temi e dei punti di interesse che accomunano le sue due opere. La storia di Per niente al mondo ruota intorno a Bernardo (Guido Caprino), un uomo affascinante, di successo, circondato da amici e sempre alla ricerca della sua libertà. Ma nella sua vita tutto cambia quando un giorno viene arrestato con l’accusa di associazione a delinquere.

“Tutto, per me, nasce dalla storia – esordisce D’Emilio – è sempre il primo gigante con cui confrontarmi ed è stata quella che mi ha detto in che forma voleva essere raccontata. Per niente al mondo ha molti punti in comune con Un giorno all’improvviso, ma sono due film molto diversi da un punto di vista strutturale, perché è stata la storia a chiedermelo.”

Come mai hai definito questa storia “semplice ma necessaria”?

“Ci tengo prima a specificare che quando parlo di semplicità, intendo qualcosa che è molto diversa dalla facilità, perché quest’ultima sfugge da ogni tipo di profondità. Invece la semplicità è il risultato di una serie molto complessa di analisi. Quindi è una storia semplice perché si palesava tale, in cui un uomo subisce un’ingiustizia e comincia a combattere con se stesso. Credo ci fosse bisogno di raccontare una storia così, in cui il tema, che è quello della fiducia (e di mancanza di fiducia), è una delle cose che più mi spaventano della società contemporanea. Venir meno alla fiducia, alla deontologia, giornalistica, medica. E ho cercato di mettere sotto una lente di ingrandimento questo concetto.”

Il protagonista del film si auto-determina in base alle conferme che ottiene dall’esterno, vive in una condizione di finzione che gli viene strappata via nel momento in cui il suo status cambia. Come si può tornare a un grado di realtà che ci metta in comunicazione concreta?

“Gli ultimi anni, il COVID-19 hanno soltanto accelerato un percorso che era già avviato. C’è un grado di allontanamento aggregativo altissimo, un grado di disillusione anche in merito a quanto la diversità, se l’uomo riuscirà a riconquistare l’importanza dell’incontro, allora c’è una possibilità di ritrovarci, di salvarci e rinascere. Ma finché penseremo di essere imprescindibili da noi stessi e fare a meno dell’incontro, servendo a noi stessi senza aver bisogno di nessun altro, saremo destinati all’estinzione. Dobbiamo riappropriarci del bisogno del confronto.”

Come hai lavorato con Salvatore Landi, direttore della fotografia di Per niente al mondo?

“Salvatore è stato il compagno d’avventura di Un giorno all’improvviso. Fa parte di quella squadra con cui ho portato quel film a Venezia e che ha lavorato anche in questo viaggio. Con lui abbiamo lavorato su tre linee temporali, in cui da una parte avevamo immagini patinate e riprese morbide ispirandoci a Il Sospetto di Thomas Vinterberg; dopo l’arresto nella prima parte del film abbiamo optato per un cambio di paradigma, abbiamo sporcato l’immagine e usato la macchina a spalla; e poi ancora abbiamo usato le lenti anamorfiche nelle scene ambientate in cella, perché volevamo cambiare il paradigma dell’immagine all’interno dello spazio angusto. Ovviamente volevamo dare alla location del carcere la dimensione di un luogo alternativo. Abbiamo cercato di raccontare un viaggio emotivo di tre linee temporali che potessero raccontare al meglio sia la caduta che il ritorno alla vita.”

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