Festa del cinema di Roma 2015 conferenza stampa del film Les Rois du monde

Il regista Laurent Laffargue e gli attori protagonisti Sergi Lòpez ed Eric Cantona hanno presentato oggi il film Les Rois du monde in occasione della quarta giornata della Festa del Cinema di Roma 2015. La prima domanda, rivolta a Laffargue, lo induce ad una riflessione sulla sua carriera, sospesa tra teatro e cinema: l’idea stessa per il film nasce da una pièce teatrale in partenza, dove il regista stesso avrebbe interpretato tutti gli altri personaggi. Successivamente passò ad un’altra idea, ampliando il cast a dieci personaggi, infine ha avuto la possibilità di trasporre questa storia per il grande schermo, firmando così la sua prima regia: la pellicola ha dei riferimenti autobiografici forti, ad esempio la scelta di girare nello stesso paese dove è nato e cresciuto, rielaborando personaggi frutto dei suoi incontri; costoro gli hanno fornito l’ispirazione primaria per poi romanzarli e creare quelli che hanno preso vita sul grande schermo. Laffargue parla piuttosto di “auto-fiction”, ovvero: partire dalla realtà, per poi deformarla e metterla al servizio dell’esigenza narrativa.

 

Qualcuno ha chiesto agli attori se avevano precedentemente lavorato sulla competizione, enfatizzando la rivalità che lega Chichinet e Jeannot, ma Cantona replica che non hanno mai assolutamente pensato a questo aspetto, anzi, che hanno sempre cercato di pensare- e pensarsi- come personaggi coinvolti in una storia, facendo solo in un secondo momento emergere le emozioni che provavano e che venivano suggerite loro dalle singole scene. Anche secondo il regista l’aspetto della competizione e della rivalità sono trascurabili: il film nasce come una tragedia nella sua mente, solo dopo una fase di riscrittura “prolungata” che si è protratta nel tempo è arrivato a realizzare un’opera frammentata che passa “di genere in genere”, dalla commedia grottesca dell’inizio fino al dramma passionale. Per questo le due figure maschili, così simili e complementari, opposte ma complementari (a partire dall’aspetto fisico) possono essere lette come due fratelli, due uomini legati da una fraterna “rivalità” maschile direttamente legata alla figura della donna amata, Chantal, una donna dal carattere forte ma allo stesso tempo fragile, in grado però di reggere allo stress e al peso della situazione; una donna che perde un amore per guadagnarne uno simile ma molto più solido e protettivo. La loro sofferenza, i loro dolori, nascono solo da loro stessi e dall’amore “malato” che entrambi provano per questa donna, un sentimento che li spinge inesorabilmente verso il tragico finale, bilanciato però dall’altro che vediamo, quello che vede protagonisti Romain e Pascaline, e che apre invece una spiraglio di luce alla speranza. In fondo, come conferma Laffargue stesso, il film è una storia di ritorni e partenze, il titolo è quasi casuale, non indica la vera essenza dei tratti percorsi narrativi avviati nel film.

Les Rois du monde 2Riguardo invece al suo lavoro sui generi, Laffargue ha riconfermato le affinità con la commedia barocca, la tragedia, il melodramma e con il western, anche se quest’ultimo non era proprio voluto: deriva piuttosto dal contesto in cui è stato girato il film, dai paesaggi scelti, non tanto dai temi trattati o dallo stile visivo. Volutamente ha scelto di non definire l’epoca in cui è ambientata la pellicola, contravvenendo ad una “regola d’oro” del cinema francese e avvicinandosi, piuttosto, ai prodotti indipendenti americano- e, a tal proposito, cita il cult Mud.

Una domanda solleva invece delle polemiche, ed è quella che accusa la pellicola di mostrare una forma di maschilismo: secondo il regista e i due interpreti maschili, Les Rois du monde non è in nessun modo un film maschilista; piuttosto, è una storia d’amore. Un amore particolare, eccessivo, che in un caso trascende nella psicosi, ma Laffargue quasi augura ad ogni donna di vivere una storia d’amore come quella che vede protagonista Chantal: contesa tra due uomini che la venerano, che l’hanno magnificata a tal punto da desiderarla entrambi, fino a spingersi oltre ogni limite per averla, “possederla”, come viene ribadito più volte nel corso del film. La loro violenza cieca passa dall’uno all’altro, esclude la donna che non è mai al centro degli atti peggiori, ne è quasi il “motore propulsivo” che li genera, ma mai l’obbiettivo o il soggetto.

L’ultima parte della conferenza verte sul passaggio, compiuto da Laffargue, dal teatro al cinema, e dalle eventuali differenze che ha incontrato: ammette di non aver avvertito un brusco stacco nel passare dall’uno all’altro, anzi, ha semplicemente ri-confermato la laboriosità del teatro e dei suoi tempi molto più lunghi rispetto al cinema- più immediato e frenetico- e la sua naturale predisposizione a dare indicazioni agli altri, a spiegare che tipo di lavoro seguire, mettendo letteralmente in scena in personaggi, facendoli vivere come accade su di un palco teatrale. Una differenza più marcata l’ha avvertita dal punto di vista della scrittura: quella cinematografica è stata definita più “tecnica” e meno “lirica”, meno incline a quei picchi di poesia lirici che spesso accompagnano i dialoghi teatrali, in grado di evocare mondi e dimensioni semplicemente attraverso la forza evocativa delle parole. Al contrario, al cinema l’importante è l’immagine e la forza evocativa di quest’ultime: per questo motivo bisogna immaginare i dialoghi, le situazioni e come adattarli per la trasposizione sullo schermo, anche grazie all’uso del montaggio che rappresenta un’ulteriore fase di scrittura.

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Ludovica Ottaviani
Ex bambina prodigio come Shirley Temple, col tempo si è guastata con la crescita e ha perso i boccoli biondi, sostituiti dall'immancabile pixie/ bob alternativo castano rossiccio. Ventiquattro anni, di cui una decina abbondanti passati a scrivere e ad imbrattare sudate carte. Collabora felicemente con Cinefilos.it dal 2011, facendo ciò che ama di più: parlare di cinema e assistere ai buffet delle anteprime. Passa senza sosta dal cinema, al teatro, alla narrativa. Logorroica, cinica ed ironica, continuerà a fare danni, almeno finché non si ritirerà su uno sperduto atollo della Florida a pescare aragoste, bere rum e fumare sigari come Hemingway, magari in compagnia di Michael Fassbender e Jake Gyllenhaal.