Festa di Roma 2015: Angry Indian Goddesses, la conferenza stampa

Siamo al quinto giorno di festival, che ha visto come primo film Angry Indian Goddesses, presentato alla stampa direttamente dal regista Pan Nalin, le attrici Anushka Manchanda, Sandhya Mridul, Rajshri Deshpande e dai produttori Dhingra Gaurav e Sol Bondy. È un film che ci fa entrare nel mondo di donne straordinarie, che con estrema grinta si battono per un’India che deve necessariamente fare i conti con la modernità.

 

È uno dei pochi o forse l’unico film indiano a raccontare la vita delle donne in una società che sta cambiando. Da dove nasce il desiderio di affrontare questa tematica?

Pan Nalin: L’idea del film mi è venuta da alcune storie reali di cui ho avuto notizia. Mi hanno toccato profondamente soprattutto per la forza che queste donne devono avere, che sembrano attingere dalle grandi donne indiane delle leggende, che vengono catapultate nell’ India contemporanea. Nel nostro paese attualmente la questione è molto calda, anche perché le nuove generazioni hanno una formazione di tipo occidentale che non può che stridere con quella che è la nostra antica tradizione. È dunque frequente che si creino conflitti rispetto a questa situazione.

Dhingra Gaurav (produttore): Quando abbiamo cominciato questo film eravamo molto concentrati sulle donne in India, e cioè specificamente sulle donne indiane. Tuttavia, andando avanti con il lavoro ci siamo resi conto di quanto questa sia in realtà una storia molto universale. In ogni parte del mondo le donne lottano con le disparità ancora presenti nel mondo lavorativo o con lo sforzo di conciliare il loro essere madri e donne in carriera allo stesso tempo.

L’alternarsi continuo dell’inglese e della lingua hindi rispecchia il reale modo di parlare della gente o ha un altro significato?

Anushka Manchanda: Il film è un grande affresco di come le donne sono realmente in India. Le conversazioni dei personaggi sono in realtà conversazioni che noi ci troviamo ad avere continuamente nella nostra quotidianità. In realtà mentre giravamo spesso non sapevamo dove fosse la macchina da presa, quelle che vedete sullo schermo non siamo altri che noi stesse. Quindi anche per quanto riguarda la lingua, la risposta è sì, è il modo reale in cui parliamo. Spesso veniamo da parti differenti dell’india, e se parlassimo il nostro dialetto non ci capiremmo, per cui parliamo sempre mescolando. O a volte completamente in inglese.

Quella che abbiamo visto sembra un’India molto occidentalizzata. Direbbe che anche il modo di vestirsi e di comportarsi delle ragazze, il film rispecchia la realtà?

Rajshri Deshpande: L’india è davvero molto varia, probabilmente rimarreste scioccati se poteste vedere quanto sono sfrenate le nostre feste. Certo, c’è ancora chi è molto attaccato alla tradizione, ma dipende molto dalla città in cui ci si trova.

Sandhya Mridul: Sì, in effetti le cose cambiano molto di città in città. Personalmente a Delhi, be’ ci penserei due volte se volessi vestirmi all’occidentale. Ma se fossi a Bombey, non avrei alcun problema a indossare degli shorts. Ci si deve costantemente adattare.

Il film ha un grande impatto emotivo, soprattutto nella parte finale: le donne si fanno giustizia da sole… non crede che sia un messaggio pericoloso?

Pan Nalin: Beh sì, sarebbe un messaggio pericoloso, ma non è quello che intendo veicolare con quel finale. Io voglio suscitare una reazione, voglio che il sistema apra gli occhi, è piuttosto una provocazione a svegliarsi e fare qualcosa prima che sia troppo tardi.

Dhingra Gaurav: In India non si fanno film in cui le donne sono le protagoniste. A Bollywood le donne sono trattate spesso e volentieri come oggetti, non hanno una reale rappresentazione nel cinema indiano. Per cui è importante poter trasmettere l’attuale condizione delle donne in India, dargli una voce, non lasciarle come delle bellissime sculture sullo sfondo di un film, ma metterle al centro.

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