“Questo progetto nasce dall’esigenza di lavorare in un modo differente da quello che normalmente si è abituati a fare in ambito cinematografico. Da molto tempo, soprattutto dopo la stressante esperienza della realizzazione del mio film Imago Mortis, sento la necessità di “riconciliarmi” con il mezzo cinematografico e di ricercare una leggerezza calligrafica che è normalmente più congeniale ad altre forme espressive, come ad esempio la pittura, la fotografia, o la grafica.”
Così racconta Stefano Bessoni, regista italiano alla sua seconda opera cinematografica. Il film si intitola Krokodyle ed è una scommessa: un film indipendente, fondato sulle visioni dell’autore e sulla volontà di osare discostandosi dai canoni produttivi e creativi del panorama italiano odierno.
-Come nasce questo
progetto?
“Credo che molte volte le cose migliori nascano nel corso di
sperimentazioni e ricerche e che il processo di pianificazione
industriale, che i costi altissimi del cinema commerciale
impongono, impedisce una fase creativa sincera che dovrebbe essere,
a mio avviso, alla base di un linguaggio espressivo.” Proprio su
questa base creativa di pre-produzione si basa il certosino lavoro
di Bessoni che ha dalla sua un immaginario fitto e definito
di creature, mostri e folletti, omini e scheletri che popolano le
sue visioni.
L’idea di base del film è quella di “una sorta di work in progress che possa essere ampliato ed arricchito anche in fasi successive e se necessario anche a distanza di tempo, per cogliere così le naturali trasformazioni che il tempo può determinare su idee, personaggi e struttura narrativa – ci racconta con entusiasmo – Vorrei inoltre che non rimanga solamente qualcosa di destinato ad una diffusione strettamente cinematografica ma che possa essere anche eventualmente esteso ad uno sbocco espositivo, editoriale e web.”
L’arte infatti ha un ruolo fondamentale nell’opera di Bessoni, un po’ perché va ad attingere alla sua formazione, si è diplomato infatti all’Accademia della Belle Arti di Roma, un po’ perché è alla base, come detto prima, del suo processo creativo.
-Avendo visto qualche
oggetto di scena e ascoltato qualche battuta durante le riprese, mi
è parso di cogliere, nel percorso del film, un background che
risale all’origine concettuale del cinema, mi riferisco a
quell’arco di tempo che precede l’invenzione del cinema tout cour e
durante il quale la tecnica di riproduzione delle immagini è a metà
tra la meraviglia del magico e la ripetizione
scientifica.
“In questa storia mi rifaccio a tutto ciò che è stato il
pre-cinema, alle Fantasmagorie, agli spettacoli di lanterna magica.
Questa film vuole essere una serie di mie personali considerazioni
su questo fenomeno che nell’800 ha così affascinato artisti, uomini
di scienza e persone comuni; sul cinema e sulla fissazione per la
cattura delle immagini. Il tutto chiaramente infarcito delle mie
passioni, o meglio delle mie ossessioni: l’anatomia, la zoologia,
la raccolta di oggetti e le wunderkammer, i freaks e le stranezze,
la generazione spontanea e gli omuncoli, la fotografia, il disegno…
Inoltre vorrei che potesse essere l’occasione per poter esibire
libere suggestioni dalle opere di Bruno Schulz, Christian
Morgenstern, Lewis Carroll e da tutti quegli autori che mi ispirano
e mi influenzano fin da quando ero bambino.”
-A proposito dei suoi
riferimenti ad altri artisti, i suoi disegni sembrano richiamare un
tipo di immaginario vicino a quello burtiano. Mi
sbaglio?
“In realtà sia io che Burton facciamo capo ad una stessa
ispirazione pittorica, che va dalla pittura gotica al Pop
Surrealism.”
-Passando, nello specifico,
al suo film: si tratta di una storia autobiografica?
“Non voglio mettermi davanti alla macchina da presa, non ne ho la
minima voglia, non ne sono capace e non sarebbe assolutamente
interessante. Così mi farò sostituire sullo schermo da un attore
che vestirà i panni di Kaspar Toporski, un filmaker immaginario che
diverrà il mio alter ego, quello che sono e che almeno nella mia
fantasia vorrei o avrei voluto essere. Kaspar sarà circondato da
una serie di altri personaggi che divideranno con lui concetti ed
ossessioni, in modo che il tutto possa essere diluito in una
struttura narrativa e si possa cosi allontanare dalla struttura del
documentario, o mockumentary che sia.”
-Quali sono le sue
intenzioni con questo suo progetto?
“Il film che vorrei realizzare potrà apparire caotico, confuso,
pieno di elementi e di riferimenti, ma è proprio questo il suo
scopo, ovvero realizzare uno sketch-book cinematografico, un libro
con tanti appunti da sviluppare ampiamente in progetti più grandi.
Ci sarà chiaramente una linea narrativa, necessaria per conferire
al film una sua coerenza cinematografica.”
-Quali saranno i mezzi
espressivi e quali crede saranno gli esiti di una tale
operazione?
“Per prima cosa, utilizzerò una delle mie tematiche più insistenti
e particolari, ovvero quella della generazione spontanea ed in
particolare della creazione dal nulla di un piccolo essere “in
vitro”, una stramba creatura descritta da Paracelso e chiamata
omuncolo o homunculus. Mi piacerebbe lavorare su questo concetto in
un contesto indipendente e libero, ma con l’ausilio di tecniche ed
effetti speciali adeguati che possano permettere una
visualizzazione ottimale. Credo che questo diario filmato di un
filmaker immaginario possa essere l’occasione giusta per
sperimentare in tal senso.
Probabilmente, chi mi conosce dirà che in fondo non c’è nulla di
inventato, che sono tutte cose di cui parlo sempre e che fanno
parte della mia vita di tutti i giorni. Chi invece non mi conosce
dirà che è tutto assurdo, forse dirà che sono tutte stupidaggini.
Ma che mi importa di cosa dirà chi vedrà questo lavoro, la cosa
fondamentale è scrivere, disegnare, filmare e fermare nel tempo
quello che fugacemente fa capolino nella mia fantasia.”