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Dopo la proiezione di Into Paradiso, il cast, Peppe Servillo, Gianfelice Imparato e Saman Anthony, con la regista Paola Randi e il produttore del film Fabrizio Mosca, hanno incontrato la stampa, le domande più frequenti vertevano  sul tema principale del film, che mette in contatto persone con esperienze e provenienze diverse, a partire dalla stessa regista.

Come mai una regista milanese ha deciso di fare un film ambientato a Napoli?

L’idea mi è venuta un giorno in cui mi trovavo a Napoli e passeggiando per i vicoli davanti ai miei occhi ho avuto questa immagine: quattro ragazzini napoletani che giocavano a calcio accanto ad altrettanti ragazzini dello Sri Lanka che, elegantissimi, giocavano a cricket.

Da lì mi è venuta voglia di raccontare di questa caratteristica speciale di Napoli, di essere accogliente con tutti. Ho quindi passato diversi mesi nella città facendo ricerche e raccogliendo materiale su questo quartiere, il Cavone, in cui veramente convivono numerose famiglie di cingalesi  accanto a famiglie napoletane.

Ho pensato che poi il mio occhio, di persona del nord, potesse aggiungere ancora un maggiore straniamento al film, non conoscendo a fondo ogni angolo della città, ho concentrato tutta l’attenzione sui miei protagonisti.

Ci  sono degli aneddoti che ci potete raccontare delle riprese?

Lasciare Napoli fuori dal set era impossibile, soprattutto visto che giravamo in pieno centro tra i vicoli.

Dopo i primi giorni il quartiere ci ha “metabolizzato”, uso questo termine perchè è ciò che è accaduto effettivamente. Eravamo diventati parte integrante del vicinato, anzi le persone avevano anche capito che dovevano fare silenzio nel momento in cui veniva urlato “Motore!”. Inoltre, siccome i vicoli erano troppo stretti per farci passare i camper con i camerini, le persone ospitavano gli attori nei loro “bassi” e qualche volta offrivano loro anche il caffè.

Questo film è un’opera prima di una regista donna, una doppia eccezione, è stata una prova di coraggio per la produzione?

La storia è ciò che ha colpito già dall’inizio i produttori di Cinecittà Luce, che è poi stata così convinta anche del prodotto finito da assumere  i costi di distribuzione, una vera lotta, soprattutto visto che molti altri film sono distribuiti in maniera quasi capillare nelle sale italiane, a volte anche in doppia copia quando si tratta dei multisala.

Nel panorama cinematografico le donne registe in Italia sono una percentuale minima, il 7% del totale degli addetti ai lavori, ma stranamente non si tratta di un’eccezione, visto che l’anno scorso per la prima volta una donna ha ottenuto l’Oscar come miglior regista. Anche negli Stati Uniti infatti la percentuale delle donne registe è minima.

Speriamo che questo sia il segno dell’inizio di un cambiamento, intanto le donne lavoratrici dello spettacolo si sono costituite in un movimento, Maude, che ha promosso anche una ricerca-documentario che vuole testimoniare l’attuale stato delle cose nel nostro paese.

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