Jean Pierre Améris presenta a Roma Marie Heurtin – Dal Buio alla Luce

Con la sua Mediterranea Productions, Angelo Bassi presenta a Roma Marie Heurtin – Dal Buio alla Luce del cineasta francese Jean-Pierre Améris. La storia di Marie che si svolge a cavallo tra ‘800 e ‘900, narra della creazione di una nuova lingua, quella usata oggi dai ragazzi sordi e ciechi per comunicare con il mondo.
La casa di distribuzione, in coerenza con la materia trattata dal film, avvalendosi della collaborazione dell’ Istituto Statale per Sordi di Roma, Lega del Filo d’oro, CINEDEAF (Festival Internazionale di Cinema Sordo), Eyes Made (iniziativa di innovazione sociale a base culturale incentrata sulla valorizzazione delle abilità visive che risiedono nelle persone sorde), Big Bang – Universo accessibile (startup a vocazione sociale) e Movie Reading (applicazione per smartphone), a partire dal 3 marzo porterà il film in circa 30 sale italiane, cercando di renderlo fruibile e accessibile a tutti.

 

Ha avuto difficoltà a lavorare con un’attrice realmente sorda?

Jean-Pierre Améris: Prima di scegliere Ariana ho incontrato 200 ragazze. Non è stato un problema imparare a lavorare con loro. Nel mio primo film c’era una ragazza sorda, quindi ne avevo già esperienza. Il messaggio del film è proprio che l’handicap non è una difficoltà. La difficoltà sarebbe stata trovare un’attrice poco capace. Abbiamo girato con degli interpreti, ma si è creata un’atmosfera particolare durante il film e tutti hanno imparato in qualche modo a comunicare con le attrici.

Inizialmente il suo progetto era di raccontare la storia di Hellen Keller, su cui si basa anche un altro film (Anna dei miracoli). Cosa l’ha portata a dirottare su quest’altra storia?

Sin dall’adolescenza sono stato affascinato dalla storia di Hellen Keller, una donna americana sorda e cieca, che lo diventa però all’età di 15 anni. Come Marie Heurtin, inizialmente era una ragazza selvaggia, ed è stata salvata dalla sua governate che le ha insegnato un modo per comunicare. Volevo fare un remake di Anna dei Mircoli, ma ho scoperto che gli americani ne fanno un remake più o meno ogni 15 anni, e che era molto difficile reperire i diritti. Per cui mi sono informato, ho conosciuto meglio il problema dei sordo-ciechi e ho scoperto Marie. Per due anni ho fatto ricerche, partendo dagli scritti della suora che ha deciso per prima di occuparsi della ragazza, e poi sui testi scritti appunto da Marie. Sono stato molto fedele alla storia vera, ho passato due anni nel centro di Poitiers, dove ancora arrivano bambini sordi e ciechi da tutto il mondo. Mi ricorderò sempre del mio primo giorno lì. Ero un po’ spaventato e ho visto arrivare tutti questi adolescenti che volevano incontrarmi e che per avvicinarsi a me mi hanno letteralmente respirato. Siamo in una società virtuale, dove il contatto fisico non esiste quasi più. Queste persone hanno invece bisogno necessariamente di un contatto fisico e hanno bisogno quindi di più tempo per conoscerti. Mi è piaciuto stare con loro e sono venuti poi alla prima proiezione del film, con gli educatori che lo traducevano nella loro lingua. Dopo abbiamo anche avuto un dibattito sul film e loro erano felici che si parlasse di questo tema.

Nei suoi ultimi tre film parla delle difficoltà relative alla comunicazione, è una continuità intenzionale?

Faccio film su temi che mi interessano, come il tema della comunicazione, a prescindere dalla difficoltà. Mi interessa la libertà di poter comunicare qualcosa ed è così che intendo anche il cinema. Ammiro l’essere umano e il suo impegno e ingegno che utilizza per adattarsi al mondo.

Come mai ha scelto Isabelle Carrè per il personaggio di Suor Marguerite?

È il terzo film che facciamo insieme, è un attrice che mi ispira e mi piace tantissimo. Non c’è alcuna somiglianza fisica con la persona reale a cui si rifà il personaggio, anzi Isabelle è l’opposto. Ma lei ha una forte propensione a comunicare con l’altro, a capire le difficoltà altrui, ed è per questo che l’ho scelta. Ha seguito corsi per imparare il linguaggio dei segni, per lei è diventata una vera e propria passione, mentre io devo ammettere di avere ancora molta difficoltà. Con Ariana abbiamo lavorato a Parigi per due mesi per ripetere le scene, soprattutto quelle di lotta fisica che sono state le più difficili. Era molto importante che instaurassero una relazione profonda, poiché dovevano avere un rapporto molto fisico, molto materno. Nel tempo in cui è ambientata la storia non si sapeva affatto come comunicare con questo tipo di persone. Suor Marguerite è stata tenace e davvero geniale nel metodo che ha individuato per l’insegnamento di questa lingua.

Lei usa un tono leggero, che non ci aspetteremmo da un film con un tema del genere.

Nella vita è tutto mischiato, il triste e il comico. Ho riso molto con questi ragazzi, mi sono divertito. Dove pensate che ci siano delle cose terribili, c’è in realtà della gioia: volevo dimostrare questo. La gioia non è soltanto nelle cose belle della società, dove c’è la salute e la bellezza. C’è molta gente felice anche altrove.

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