“Vivo a Santa Marinella e lì
c’è una piazzetta, dove dei ragazzi venivano e mi disturbavano,
quattro o cinque anni fa, quando è nato il film. Allora, c’era
questa emotività omicida in me verso di loro. A frenarla è stata
mia figlia, all’epoca undicenne, che invece era in qualche modo
affascinata da questi ragazzi. E ho cominciato a pensare se potevo
avere io un’occasione di crescita, alla mia età” così
Peter Del Monte svela lo spunto autobiografico del
suo ultimo lavoro, Nessuno mi pettina bene come il
vento, con cui torna a dirigere dopo sette anni –
“Sono un regista ai margini del mercato”, dice di sé – e
ritrova Laura Morante: “Da qui è nato il film,
poi ho “cambiato sesso”, concependo come protagonista una
scrittrice. Dovendo pensare ad una donna intellettuale, Laura è tra
le poche attrici italiane che possono rappresentarlo in maniera
molto credibile. In più, suggerisce il carattere del personaggio:
un grande bisogno di controllo sulla vita, ma al tempo stesso un
suo disordine, una zona d’ombra che la mette a disagio”.
Come mai questo titolo (un aforisma di Alda Merini)?
Peter Del Monte: “Questo aforisma funzionava perfettamente per il mio film. Il verso suggerisce una esposizione a una forza primaria, il vento, quindi un atteggiamento di abbandono nei confronti della vita.”
Cosa ha amato del film?
L. M.: “Nel film ci sono tante solitudini e tanti pregiudizi, appannaggio di tutti i personaggi. Uno dei suoi meriti, infatti, è di non essere manicheo. È un modo di esplorare come il pregiudizio ci condanni alla solitudine. La pellicola, però, forza i personaggi ad entrare in contatto. Dopo, le orbite di questi pianeti che girano in solitudine non saranno più esattamente le stesse”.
Come vede il rapporto del suo personaggio con quello di Gea?
L. M.: “Nel loro rapporto entra in gioco il fatto che Arianna ha rifiutato la maternità e il contatto con il mondo. Ma soprattutto credo ci sia una curiosità e uno scatto d’orgoglio di questa donna: una sfida che la bambina le lancia, suggerendole una prospettiva con cui lei è in disaccordo, da questa sfida Arianna si sente interpellata”.
Com’è recitare con una bambina?
L. M.: “I ragazzini hanno quella freschezza che io mi arrovello per trovare dopo trentacinque anni, cercando sempre di non cadere nei miei stessi cliché, anche a costo di non piacere. Perciò, al loro cospetto, la recitazione di un adulto con molta esperienza è una sfida. Il mestiere è una bella cosa, ma va usato con cautela. Un attore che non dà più l’impressione di camminare sul filo, non dà più emozione”.
Essendo anche regista, è cambiata come attrice?
L. M.: “Sono diventata più esigente. Mi riesce difficile aderire a un progetto che mi convince poco, ne soffro di più. Quando invece faccio qualcosa che mi piace davvero, continuo a divertirmi. Purtroppo non succede tutti i giorni.
Da dove ha tratto l’ispirazione per interpretare il suo personaggio?
Jacopo Olmo Antinori: “Non ho avuto ispirazioni specifiche. Piuttosto, un’immagine abbastanza chiara del substrato del personaggio: non ciò che fa trasparire, ma tutto ciò che non dice, il modo in cui guarda, in cui risponde alle situazioni che capitano nel film. Ho voluto applicarmi soprattutto a rendere questo substrato. È stato un approccio molto istintivo”.
In sala dal 10 aprile.