L'uomo che uccise Don Chisciotte film

In attesa dell’uscita nelle sale il 27 settembre de L’Uomo che Uccise Don Chisciotte, abbiamo incontrato il suo regista, Terry Gilliam, e il suo direttore della fotografia Nicola Pecorini.

 

La prima domanda che sorge spontanea fare al grande regista, riguarda ovviamente il cambiamento del cast. Per un progetto che inizialmente prevedeva come protagonista Jhonny Depp, alla fine ci si è orientati verso Adam Driver.

L’ho incontrato in un pub in Irlanda – racconta Gilliam – era completamente differente dal personaggio che mi ero immaginato per Toby. Ormai il progetto di Don Chisciotte era completamente da rifare, un nuovo inizio rispetto alla mia idea originale. E ho scelto Adam perché è unico. Non si comporta come una grande star, come un attore navigato, sembra una persona normalissima. Ci siamo piaciuti subito e ha avuto la parte”.

The Man Who Killed Don QuixoteGillian rimane impresso sempre come il regista per eccellenza nell’uso della Fantasia: “Credo che tutti i grandi film si basino sulla fantasia, senza troppo contatto con realtà – afferma – In L’Uomo che Uccise Don Chisciotte quello che mi interessava era la battaglia tra fantasia e quello che è reale. Don Chisciotte è la fantasia e Sancho l’adesione al reale. Abbiamo girato sempre in esterni, mai location in studios, quindi siamo stati ancorati in un mondo che rimaneva sempre reale, lo potevi sentire, odorare, percepire”.

Riguardo il difficile adattamento di un romanzo come quello di Cervantes, così ostico, il regista americano dice: “Si diceva fosse impossibile realizzarne un film, per la grandezza e la grandiosità del libro. Se hai abbastanza tempo puoi mettere le tue idee originali, come è successo a me, ce la puoi fare, ma richiede molto tempo. Nel 1989 ho letto il libro per la prima volta, e avevo capito che si trattava di una cosa troppo ricca e gigantesca.

La mia idea originale quindi era di basarsi sugli ultimi attimi di un anziano Don Chisciotte, fino alla sua morte. Ma da lì, poi, sono scaturiti una serie di cambiamenti. Fino a 3 anni fa, quando mi venne in mente l’idea di Toby, un regista ormai affermato che agli inizi della sua carriera, dieci anni prima, aveva fatto un film intitolato L’Uomo che Uccise Don Chisciotte e quella realizzazione si era ripercossa sulle persone che vi avevano partecipato, che erano gli abitanti di un piccolo e sperduto paesino. Così come era successo a Don Chisciotte nel libro, che a forza di leggere di dame e cavalieri se ne era fatto influenzare, gli uomini e le donne che avevano recitato nel film di Toby si erano fatti influenzare. Ho voluto fare vedere cosa era capitato a quelle persona normali del villaggio anni dopo aver girato il film.

E poi io sono un mistico, penso che il film si sia scritto da solo nel tempo, di mio ci ho messo poco”.

The Man Who Killed Don QuixoteRiguardo al progetto originale, che ha richiesto una gestazione di 25 anni, Terry Gilliam racconta: “Inizialmente avevo stabilito che il personaggio di Adam, il regista Toby,  prendesse una botta in testa e a causa di quel trauma si ritrovasse nel diciassettesimo secolo, riproducendosi in un Don Chisciotte cronologicamente reale.

Invece ora parliamo di Toby, un regista, un uomo di talento che per soldi perde il suo talento (fa film commerciali e spot) . Come Frankenstein, lui aveva creato un vero don Chisciotte, ma non si rende conto dell’effetto provocato finché non si ritrova davanti alla gente con cui aveva lavorato dieci anni prima. In quel momento Toby non si sente responsabile delle cause e delle azioni che i suoi film scatenano, proprio come accade anche a molti registi attuali. Che si comportano male, perché non si rendono conto di quanto sia importante realizzare qualcosa di determinante come un film, qualcosa che possa indurre le persone a loro volta a fare cose corrette o anche scorrette”.

È lecito domandarsi cosa abbia spinto Gilliam in questi 30 anni a non abbandonare questo progetto. “La ragione per cui ho continuato a incaponirmi con questo irragionevole progetto è perché tutte le persone ragionevoli mi dicevano di smetterla – afferma il regista con molta semplicità e un pizzico di autoironia – Don Chisciotte è pericoloso, quando comincia ad entrati in testa cominci a diventare come lui fin quasi in punto di morte”.

Ma in definitiva, questa versione del film sarebbe potuta esistere nel 1989 o nel 2000? “No – afferma sicuro Gilliam – perché il film è qualcosa che deve esistere in un periodo ben determinato della tua vita, dell’esistenza. Adam è diverso da Depp, il gruppo di persone che ha lavorato ora al film è differente da quello che sarebbe stato nel 2000. In tempi passati non sarebbe stato così divertente ed efficiente. Forse ora è più ambizioso. Inoltre il film progettato con Jhonny Depp e John Rushmore aveva molti più soldi, questa produzione attuale ne ha ottenuti circa la metà. E in qualche modo la diminuzione del budget ci ha consentito di concentrarci di più sul lavoro e con maggiore risultato”.

Terry Gilliam ci tiene ad aggiungere: “Vorrei fare una menzione d’onore per Jonathan Pryce, che per 16 anni mi chiedeva di poter avere la parte di Don Chisciotte e quando finalmente ho assistito alla sua performance è stato così sorprendente, perché è perfetta, in qualche modo Pryce vi riassume la summa di tutti i personaggi shakespeariani che ha interpretato a teatro”.

Un ultimo commento è lasciato al bravissimo direttore della fotografia, l’italiano Nicola Pecorini. “Ho potuto vedere i cambiamenti di questo lungo progetto in corso d’opera. Prima era un film epico, romanzesco, molto più grandioso. Mano a mano, vuoi per ristrettezze economiche, vuoi per evoluzione della mente di di Terry, è diventato più intimo e personale – dice Pecorini – E mi sento anche di affermare che se non. Fosse stato per avvenimenti contrari, come il caso Weinstein o la morte di Heth Ledger,  in mezzo all’elaborazione di quesro un film, L’Uomo che Uccise Don Chisciotte sarebbe stato completamente differente. Abbiamo risentito molto di questo. Io stesso si può dire che ho perso tempo e lavori, a causa di questo film.

E Gillian, sornione, pone l’ultima battuta rispondendo al suo amico e fotografo: “Si sa, per l’arte bisogna soffrire”.

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