Valley of the gods, la conferenza stampa con Lech Majewski

Valley of the Gods film 2020

In diretta sulla piattaforma Zoom, è stato presentato in Italia il nuovo film di Lech Majewski: autore eclettico, non solo regista, ma anche scrittore e pittore, dalla carriera più che trentennale e la collaborazione con i più disparati artisti internazionali.

 

Valley of the gods è stato il suo ultimo lavoro, finito di girare appena prima dell’inizio della pandemia, e che CG Entertainment ha atteso a lungo a distribuire proprio per realizzarne l’uscita esclusiva nelle sale cinematografiche.

Durante l’incontro stampa mediato da CG Entertainment, il regista ha narrato la genesi dell’idea del film e della sua realizzazione. Insieme a lui c’era parte del cast rappresentata da Bérénice Marlohe (Song to song e Skyfall) e Keir Dullea (2001 Odissea nello spazio), che ha regalato un piacevolissimo siparietto iniziale nel quale, per diversi minuti, ognuno dei tre si è festosamente salutato di fronte alla divertita partecipazione di stampa ed esercenti.

Il film è un racconto che si addentra nella mente di uno scrittore (Josh Hartnett), senza curarsi troppo di dettagliati riferimenti cronologici e lineari, la cui vita entra in collisione con l’uomo più ricco del mondo (John Malkovich) che sta per appropriarsi di un vasto territorio appartenente al popolo dei Navajo, per sfruttarne i giacimenti di uranio.

Lech Majewski spiega che l’ispirazione gli è venuta qualche decennio fa. Con Viggo Mortensen stava pianificando i dettagli del film Gospel according to Harry e, nel cercare un paesaggio desertico, si era trovato per la prima volta nella Monument Valley. Il contatto con quella realtà lo aveva lasciato senza fiato, in particolar modo quando era riuscito a entrare in relazione con gli abitanti di quelle terre: «I Navajo sono continuamente proiettati verso gli spiriti dei loro antenati», racconta Majewski, «E in tutto ciò che osservano ne colgono i significati, quello che si nasconde. Nonostante le condizioni di disagio in cui vivono, hanno una vita interiore ricchissima, che li rende persone sempre in pace e in armonia. Con questo film ho infatti desiderato creare uno scontro tra il cinema commerciale, con la sua cultura pop che spesso abusa degli effetti speciali facendone quasi una pornografia, e la mitologia antica. E l’ambientazione scelta per il lussuoso castello con il maggiordomo, ad esempio, è un chiaro riferimento a Batman e al suo rapporto con Alfred».

Ambientazione che fa da eco ai ceti più potenti degli Stati Uniti, prosegue il regista: «Quando stavo scrivendo e producendo Basquiat ho intervistato alcuni dei miliardari più famosi degli USA, e ciò che più mi aveva colpito è che, nonostante abbiano una marea infinita di possibilità, vivono blindati in gabbie dorate, impauriti e protetti da un mondo esterno pieno di pericoli. E gli unici con cui hanno rapporti costanti, sono i loro collaboratori».

Persone fragili e interiormente inconsistenti, proprio come il magnate interpretato da John Malkovich, Wes Tauros. E alla domanda su come sia stato lavorare con l’attore, il regista risponde che gli era stato detto che non sarebbe stato facile: «Secondo alcuni è un tipo intransigente, invece l’ho trovato di una gentilezza rara. Disponibile e umile a qualunque indicazione gli dessi».

Così come per Josh Hartnett, che gli ha addirittura confessato di essere stato ispirato da Basquiat nella scelta di voler fare l’attore.

Viene poi chiesto a Bérénice Marlohe come si sia trovata a lavorare a questo progetto, dopo aver interpretato nella sua carriera – tra gli altri – ruoli in film di Terrence Malick e David Lynch: «Devo stare attenta a quel che dico perché mi sente», dice ridendo, «Mi sono sinceramente appassionata al modo in cui Lech ha affrontato temi così complessi e sfaccettati, proprio com’è lui stesso. Dopo aver letto la sceneggiatura la prima volta, ho pensato che condividessi pienamente il suo punto di vista. Vedere film come Valley of the gods oggi è molto difficile. Penso che sia una sorta di magia dare voce a civiltà dalle radici così preziose e di cui non si parla quasi mai».

La parola passa di nuovo al regista quando gli viene chiesto quale sia il suo rapporto con il cinema italiano. E Lech Majewski svela quanto la sua formazione nasca interamente dall’arte italiana, partendo proprio dalla pittura: «Quando da ragazzo studiavo per diventare pittore, ero rimasto impietrito davanti alla “Tempesta”, il dipinto del Giorgione esposto alla Galleria dell’Accademia di Venezia. Avevo provato la stessa sensazione al cinema per una scena di Blow Up. Ho pensato che se Giorgione fosse stato ancora vivo sarebbe stato Michelangelo Antonioni. Così mi è scattata la scintilla che mi ha fatto scegliere d’iscrivermi alla scuola di cinema».

Il regista rivela che fin da adolescente guardava film in italiano, pur non capendo quasi nulla dei dialoghi. E alla curiosità sull’eventualità di un nuovo film da girare proprio in Italia, risponde: «Mi piacerebbe tantissimo. Ho un debole per Dino Buzzati».

Il film uscirà in sala il 3 giugno.

- Pubblicità -