20.000 specie di api: recensione del film di Estibaliz Urresola Solaguren

L'esordio al lungometraggio della regista vasca è una riflessione sottile sulla libertà, l'identità e il femminile.

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La regista basca Estibaliz Urresola Solaguren irrompe nel mondo del cinema con 20.000 specie di api, un film sull’identità personale e collettiva che riesce a ritrarre una comunità specifica e la sua reazione all’inevitabile diversità. Il film arriva nelle sale italiane dal 14 dicembre, dopo aver trionfato al Festival Internazionale del Cinema di Berlino, dove si è aggiudicato l’Orso d’argento per la miglior interpretazione da protagonista a Sofia Otero, e aver ottenuto svariati premi al Festival del Cinema di Malaga. Senza orpelli cinematografici, con un’austerità spartana, ma mai egocentrica nel mostrare il passaggio delle nuvole o il tramonto del sole, la cineasta di Alava filma con straordinaria sottigliezza e senza fronzoli la storia di 20.000 specie di api.

 

20.000 specie di api, la trama: scorgere la luce

In poco più di due ore, 20.000 specie di api percorre passo dopo passo, gesto dopo gesto, le biografie intime di un gruppo di tre generazioni di donne. Si comincia con un incrocio di sguardi, quello di Ane (Patricia López Arnaiz) e quello di Aitor/Cocó/Lucía (Sofía Otero). Faccia a faccia, entrambe incrociano i loro sguardi, in quel primissimo momento, per verbalizzare una crisi personale e familiare. Ben presto scopriremo che la zia solitaria che si occupa delle api è l’unica con cui Aitor/Lucía si sente protetto; la madre, persa nelle sue frustrazioni, è l’unica con cui Aitor/Lucía si sente compreso. Sono loro tre a dare al film una densità che va oltre il problema che pone e lo trasforma in uno studio sulla famiglia e sulle sue dipendenze. Gli altri, i fratelli, il padre, cercano di non vedere ciò che sta accadendo ad Aitor, o direttamente lo negano e lo combattono, così come la nonna, forse il personaggio più schematico di tutti.

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Un viaggio a casa della madre, lontano dalla figura paterna, servirà come viaggio iniziatico in cui Aitor vivrà la sua metamorfosi, la sua rinascita in Lucía. Ma non sarà sola, né sarà l’unica persona a vivere questo momento epifanico. Nemmeno Ane, sua madre, si divertirà. Il suo ritorno al luogo di nascita per preparare un concorso per diventare insegnante d’arte la porta a ripercorrere i resti artistici del padre, scultore scomparso, e i rimpianti di una madre decisa a guardare senza vedere realmente. È proprio il conflitto metaforico tra questi due verbi, sinonimi ma anche così distanti, che scuote questo film di api e miele, allegoria della vita e della morte. Non è un caso che Aitor voglia adottare il nome di Lucia, né che Estibaliz Urresola scelga quello della martire di Siracusa, protettrice degli occhi, come nome per la sua piccola protagonista e per la sua riflessione su un tema di cui oggi si dovrebbe parlare senza paura, pregiudizi o frivolezze.

Sommergersi per vedere

In 20.000 specie di api accade che molti dei suoi personaggi abbiano perso la luce, non vedano perché, soprattutto gli adulti, non hanno potuto o saputo affrontare la realtà o i loro sogni. Estibaliz Urresola mescola simbolicamente l’idea del battesimo con quella della luce; l’immagine dello sprofondare, del sommergersi, contrapposta alla gioia di (ri)emergere e al fatto di (ri)nascere.

Su una barca, scandagliando il fiume, alla ricerca dell’immagine rubata di San Giovanni Battista che il suo nonno ha scolpito per l’altare principale della chiesa del suo villaggio, Aitor, un bambino di otto anni che nel profondo si sente una bambina, riceve una lezione su ciò che è verificabile e ciò che è intuibile. Gli viene detto che ciò che gli occhi vedono appartiene all’ovvio; di conseguenza, ciò che invece i sentimenti richiedono, abita un altro livello di percezione. Ecco perché ciò che è proprio delle emozioni, come viene detto al disorientato Aitor, può trovare risposta solo dentro di sé. L’idea che “la fede è questo” è incisa nel cuore della protagonista di 20.000 specie di api, interpretata da una magnifica Sofía Otero. Aitor capisce che la fede è ciò che si stabilisce nel regno dell’indimostrabile, dell’intimo. Nel suo caso, questo enigma appartiene alla lacerazione della sua identità. Nel corpo di un ragazzo, si sente una ragazza: si fa chiamare Cocó e vive in un isolamento indefinito insieme ai genitori e ai fratelli.

Tre generazioni, tre attrici da ricordare

20.000 specie di api arriva dopo un anno eccezionale per il cinema spagnolo e in particolare per un nuovo gruppo di registe come Carla Simón (Alcarràs), Pilar Palomero (Las niñas, La materndad), Elena López Riera (El agua) e Alauda Ruiz de Azúa (Cinco lobitos). È un film che si prende il suo tempo, che dura 125 minuti, in cui il dialogo è importante quanto il sottotesto e i gesti. Per questo la direzione del corpo attoriale è così meticolosa e soddisfacente: Patricia López Arnaiz, Ane Gabarain e la piccola Sofía Otero formano un magnifico tridente attoriale che merita semplicemente applausi.

Ciò che è indiscutibile del film di Urresola Solaguren è la sensibilità con cui vengono mostrati i rapporti tra ragazzi e ragazze, e tra questi e gli adulti, con le barriere sociali imposte che rendono così difficile la vita di chi non aderisce alla consueta dicotomia di genere. 20.000 specie di api riflette su come qualcosa di così intimo come sapere chi siamo, da quanto tempo lo sappiamo, e cosa questo comporta, sia strettamente legato a se stessi e a ciò che gli altri si aspettano da noi. In questo senso, l’immagine delle api risulta assolutamente vincente: gli alveari e il loro funzionamento come gruppo sociale sono una buona metafora per dirci che ci sono, se non 20.000, molti modi di essere una persona, di essere una donna.

Sommario

L'immagine delle api risulta assolutamente vincente: gli alveari e il loro funzionamento come gruppo sociale sono una buona metafora per dirci che ci sono, se non 20.000, molti modi di essere una persona, di essere una donna.
Agnese Albertini
Agnese Albertini
Nata nel 1999, Agnese Albertini è redattrice e critica cinematografica per i siti CinemaSerieTv.it, ScreenWorld.it e Cinefilos.it. Nel 2022 ha conseguito la laurea triennale in Lingue e Letterature straniere presso l'Università di Bologna e, parallelamente, ha iniziato il suo percorso nell'ambito del giornalismo web, dedicandosi sia alla stesura di articoli di vario tipo e news che alla creazione di contenuti per i social e ad interviste in lingua inglese. Collaboratrice del canale youtube Antonio Cianci Il RaccattaFilm, con cui conduce varie rubriche e live streaming, è ospite ricorrente della rubrica Settima Arte di RTL 102.5 News.

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