Adagio: recensione del film di Stefano Sollima #Venezia80

Con il suo nuovo film Sollima fotografa una Roma bollente e malinconica, dove il crepuscolo di un'epoca coincide con quello dei suoi rappresentanti.

Adagio recensione

È una Roma che brucia quella di Adagio, il nuovo film di Stefano Sollima di ritorno dall’avventura statunitense (dove ha diretto Soldato e Senza tregua). Il regista torna dunque a ciò che conosce e sa rappresentare meglio, ovvero quella Roma criminale già al centro di ACAB – All Cops Are Bastard, Suburra e, naturalmente, la serie Romanzo criminale. Per la prima volta in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia, Sollima aggiunge però stavolta ai suoi scenari crime una malinconia da fine di un’epoca, di un mondo, e di conseguenza anche la fine dei personaggi che in esso pullulavano.

 

Si è pertanto definito questo suo nuovo lungometraggio quale conclusione della trilogia dedicata alla città eterna vista e traslata in chiave criminale, dove a risaltare non sono tanto le situazioni proprie del genere quanto una serie di personaggi che si fanno carico di una tragicità umana particolarmente attraente. Pierfrancesco Favino, tra i protagonisti del film, ha definito tali uomini come “quei cani che quando stanno per morire cercano la solitudine, salvo poi ricevere la chiamata ad una guerra antica che risveglia l’adrenalina”. Una definizione che racchiude tutto il senso di malinconia, di ricerca di redenzione e paura che aleggiano in Adagio.

Il mondo criminale di Adagio

Protagonista del racconto è Manuel (Gianmarco Franchini), un ragazzo di sedici anni che cerca di godersi la vita come può mentre si prende cura dell’anziano padre (Toni Servillo). Vittima di un ricatto, Manuel si vede però costretto ad andare ad una festa per scattare alcune foto a un misterioso individuo. Sentendosi raggirato, decide però di scappare, ritrovandosi invischiato in questioni ben oltre la sua portata. I ricattatori (Adriano Giannini, Francesco Di Leva e Lorenzo Adorni), infatti, si rivelano essere estremamente pericolosi e determinati a eliminare quello che ritengono uno scomodo testimone. Il ragazzo dovrà allora chiedere protezione a due ex-criminali (Valerio Mastandrea e Piefrancesco Favino) vecchie conoscenze del padre.

Generazione criminale

Che in Adagio la morte e la distruzione siano le forze primarie ci viene suggerito sin dalle prime inquadrature, con la vista su una Roma notturna illuminata da una serie di gravi incendi sullo sfondo e da una serie di black out che oscurano ogni cosa. In questo contesto si muovono tre generazioni di personaggi: i vecchi, glorie passate della criminalità ormai ritiratisi nell’ombra e desiderosi di rimanerci; i nuovi criminali, uomini adulti con l’ambizione di conquistare ciò che li circonda; e infine i giovani, piccoli teppistelli con giusto qualche esperienza nello spaccio, spaventati e tutt’altro che certi di voler far parte di quel mondo.

Queste tre generazioni si muovono dunque secondo logiche di attacco, difesa o fuga, sono prede e predatori chiamati all’azione nella giungla di cemento che è Roma. Sollima li segue con attenzione, senza mai avvicinarsi troppo e permettendo così agli attori di cercare e trovare nuovi modi di esprimersi con il corpo all’interno delle immagini. C’è dunque molta istintività e fisicità all’interno di Adagio, che porta però tale titolo in quanto si muove calmo tra le vicende di suoi personaggi e i rapporti tra di loro. L’incidente scatenante che mette in moto il film sembra infatti più un pretesto per chiamare all’azione i suoi protagonisti, concentrandosi poi su di loro, il loro vissuto e le loro ferite interiori.

Adagio Gianmarco Franchini

Personaggi tragici per attori generosi

Adagio è dunque un film primariamente costruito sui suoi attori e i loro corpi, dove ognuno trova il proprio momento di gloria. Spiccano però Toni Servillo nel ruolo di Daytona, un ex criminale che sembra aver perduto per sempre la lucidità, Valerio Mastandrea in quello di Polniùman, ormai cieco e ridottosi ad essere un eremita, e Pierfrancesco Favino in quelli di Cammello, ex galeotto minaccioso che spera di finire i suoi giorni in pace. Sono tre personaggi tragici, verso i quali si sviluppa facilmente un certa affezione, specialmente alla luce degli accenni a ciò che sono stati, ciò che hanno compiuto e in rapporto a come invece li troviamo ora nel presente.

Tre interpretazioni impeccabili, che confermano una volta di più – qualora ce ne fosse bisogno – della generosità dei tre attori di mettersi al servizio dei propri personaggi. I tre attori spiccano in ogni scena in cui sono presenti, talvolta finendo però con l’oscurare quanti intorno a loro. Se c’è invece un rimprovero che si può muovere nei confronti del film e dei suoi sceneggiatori – Sollima e Stefano Bises, è infatti quello di aver lasciato che Manuel, con il cui sguardo innocente dovrebbe coincidere quello dello spettatore, perdesse d’importanza nel corso del film. È vero, tutti lo cercano e tutti lo vogliono, ma la sua evoluzione e presa di coscienza passano in secondo piano.

Il crepuscolo su Roma

Manuel sembra perdersi un po’ per strada e alcune lungaggini appesantiscono determinati momenti della visione, specialmente nella parte centrale del racconto, ma se ci si concentra sull’atmosfera emanata da Sollima allora si potrà trovare il vero cuore del film. Aleggia infatti su Adagio una sensazione di malinconia piuttosto forte, che spesso sovrasta la natura crime della pellicola. La criminalità è sempre quella, ma il tempo passa per tutti ed è il fotografare questo passaggio d’epoca, questo senso di fine, di incedere adagio – naturalmente – verso la morte che conferisce una certa attrattiva al film. Imperfetto e umano come i suoi protagonisti, il film di Sollima è allora uno studio sull’uomo, sulle sue ossessioni e sulla sua ricerca di redenzione, mentre viene sopraffatto dal crepuscolo della sua generazione.

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Gianmaria Cataldo
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Gianmaria Cataldo
Laureato in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è un giornalista pubblicista iscritto all'albo dal 2018. Da quello stesso anno è critico cinematografico per Cinefilos.it, frequentando i principali festival cinematografici nazionali e internazionali. Parallelamente al lavoro per il giornale, scrive saggi critici e approfondimenti sul cinema.
adagio-stefano-sollimaSollima torna a raccontare la criminalità romana con un film imperfetto come i suoi personaggi, che però proprio per questo risultano così avvincenti e ai quali è facile affezionarsi. Il regista concepisce dunque un racconto che pur non offrendo novità al suo genere di riferimento permette di confrontarsi con la fine di un mondo ed è proprio questo senso di fine e morte a conferire al film l'atmosfera che lo rende così apprezzabile.