After Work: recensione del documentario di Erik Gandini

Dopo Videocracy il regista porta al cinema il suo ultimo documentario dal 15 giugnoAfter

After Work film recensione

Cosa faremo quando non dovremo più lavorare? Erik Gandini dopo Videocracy porta al cinema il suo ultimo documentario dove mostra le varie sfaccettature dell’etica del lavoro a 360° con dimostrazioni di diretti interessanti provenienti da Kuwait, Italia, Corea del Sud, America. Il fil rouge che accomuna questi stati e i protagonisti è ovviamente il lavoro, nonché centro della nostra società. Lo sguardo di Gandini però cerca di superare il concetto stesso di lavoro, in tutte le sue innumerevoli forme, e di arrivare al fulcro della questione.

Alcuni lavori, soprattutto quelli manuali, potrebbero scomparire nei prossimi quindici anni per essere sostituiti dall’automazione e dall’intelligenza artificiale. Dato che la nostra società si fonda sul lavoro, After Work si chiede cosa sarà delle nostre vite qualora un giorno non dovessimo più lavorare. Il documentario sarà presentato in anteprima italiana l’11 giugno al Biografilm e in sala dal 15 giugno con Fandango.

After Work recensione

After Work, la trama

Un dibattito aberrante e complesso quello sull’etica del lavoro portato da After Work di Erik Gandini. Lo stesso regista, intimamente, si è più volte interrogato sulla genesi di questo lavoro che ha avuto origine da una riflessione personale: il terrore di non vivere a pieno la vita. Ma torniamo indietro al 1980, quando il frontman dei Talking Heads, David Byrne, balla come un forsennato al ritmo di Once In a Lifetime. Contenuto nell’album Remain In Light, nel pezzo – il cui videoclip è esposto al MoMa – Byrne si pone diverse domande esistenziali causa di una crisi di mezza età incombente: “E potresti ritrovarti a vivere in una capanna che ti dà riparo// e potresti ritrovarti nell’altra parte del mondo// e potresti ritrovarti dietro il volante di una enorme automobile//e potresti ritrovarti in una bella casa, con una bella moglie//e potresti chiedere a te stesso: “beh, come sono arrivato a tutto questo?“.

In modi diversi Gandini in After Work porta questa riflessione sul logorio causato da una società dominata dal lavoro, come addirittura alcolizzata. Lo fa con il manager americano che insegna il “sogno americano” quando nel 2018 i lavoratori americano hanno lasciato andare 768 milioni di giorni di ferie non utilizzati. “Sono così occupato, non immagini neanche quanto”, un mantra nella mente di quell’uomo che si agita, muove le mani a tempo di Once In a Lifetime. Se, nel 1980, David Byrne riuscì a riassumere la contemporaneità dell’epoca in modo frenetico e spazzato, Gandini con il suo approccio puramente esistenziale mira a lasciare lo spettatore volutamente in modo provocatorio.

After Work Italia

Il lavoro salva l’anima

L’etica del lavoro in After Work, qualcosa che in passato era considerata una benedizione: solo se lavori avrai la salvezza dell’anima. Questo insegnamento lo ha fatto proprio la Corea del Sud che a oggi possiede un’etica del lavoro “unica”, non in positivo. Lo stato è passato dalla povertà assoluta allo sviluppo informatico. Ma cosa significa tutto questo per i lavoratori? Significa lavorare dalle 7 alle 23, come raccontano i protagonisti, e con questo rinunciare ad avere una vita oltre il lavoro. Questa etica del lavoro ha causato un rischio per la salute e un calo delle nascite, “e potresti chiedere a te stesso: “beh, come sono arrivato a tutto questo?“, sentiamo cantare David Byrne in sottofondo ancora una volta.

Se il lavoro salva l’anima, in Italia viene raccontato il contrario. Il non-lavoro, l’assenza di occupazione che passa dall’iper-ricchezza dell’ereditiera che per tutta la vita non ha lavorato a quello di una buona parte di popolazione denominata NEET, Neither in Employment, Education or Training. Grosso modo il ritratto che viene fatto dell’Italia in After Work è complesso e interessante: come un testimone che si passa da generazione in generazione fino ad arrivare ai più giovani che ricoprono la fascia di NEET, cioè persone che non sono occupate in alcun modo in nessuna attività. Sono dei piccoli ereditieri, che per tutta la vita hanno visto i genitori non fare nulla e che continueranno su questa scia, sena interrompere la linea di successione. Nel frattempo, nella nostra testa risuona ancora Once In a Lifetime del Talking Heads: “È tutto uguale a come è sempre stato…”.

After Work Kuwait

Il lavoro del futuro

Una frase ricca di tutti i significati di cui After Work si fa carico. Che cos’è il lavoro del futuro? Sarà un lavoro divenuto schiavo delle macchine e che non rende più schiave le persone? Non c’è una risposta all’interno del documentario né tanto meno un giudizio. È quello che sta cercando di ipotizzare il Kuwait, parte del documentario che lo stesso Gandini afferma essere stata la più complessa da analizzare. Quella del Kuwait è una situazione che vista con occhi diverse potrebbe apparire paradossale. L’impiego pubblico comporta solo privilegi: gli impiegati vanno in ufficio, possono arrivare con tre ore di ritardo, guardano film e serie durante l’orario di lavoro, eppure però non sono felici. La mancanza di mansioni e di un notevole esubero di personale si ripercuote sulla produttività e sulla condizione dei singoli impiegati a cui non manca nulla, anzi i loro lavori sono ben retribuiti.

Il ritmo di Once In a Lifetime si fa sempre più psichedelico prima di raggiugere l’apice della sua riflessione: “e potresti chiederti://come ne verrò fuori? //e potresti chiederti://dov’è quell’enorme automobile? //e potresti dire a te stesso://questa non è la mia bella casa! //e potresti dire a te stesso://questa non è la mia bella moglie!”. Invece, Erik Gandini conclude il suo After Work lasciandoci pensierosi sulla sedia della sala in assoluto silenzio.

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RASSEGNA PANORAMICA
Lidia Maltese
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Lidia Maltese
Laureata in Scienze della Comunicazione alla Sapienza, classe 95. La mia vita è una puntata di una serie tv comedy-drama che va in onda da 27 anni. Ho lo stesso ottimismo di Tony Soprano con l'umorismo di Dexter, però ho anche dei difetti.
after-workErik Gandini conclude il suo After Work lasciandoci pensierosi sulla sedia della sala in assoluto silenzio. Il suo documentario è volutamente provocatorio mentre affronta il tema del lavoro in quattro differenti modi. Non c'è giudizio e nessun modo è considerato più giusto di un altro, c'è solo una domanda preponderante, un interrogativo che per tutta la durata tartassa lo spettatore alla quale è difficile dare una risposta.