Air – La storia del grande salto, la recensione del film di Ben Affleck con Matt Damon

In sala dal 6 aprile, il nuovo film diretto da Ben Affleck racconta in modo divertente e appassionante un evento apparentemente piccolo nella storia dello sport, ma a partire dal quale tutto è cambiato per sempre.

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Il 1984 è stato l’anno del primo computer Macintosh, l’anno in cui Eddie Murphy calcava gli schermi cinematografici con Beverly Hills Cop e la voce di Bruce Springsteen risuonava in tutte le radio con Born in the USA. La serie A-Team spopolava in televisione, le VHS si diffondevano come un epidemia e Ronald Reagan veniva rieletto presidente degli Stati Uniti per un secondo mandato. Il 1984, però, è stato anche l’anno in cui il ventunenne Michael Jordan si dichiarava eleggibile al Draft NBA, venendo selezionato dai Chicago Bulls come terza scelta assoluta. Da lì ha inizio la sua epica carriera, ma quella che racconta Air – La storia del grande salto è un’altra storia.

 

Il nuovo film diretto da Ben Affleck, a sette anni da La legge della notte, si concentra infatti su un evento avvenuto in quello stesso 1984, ma che sul momento sembrò di poco rilievo rispetto a tutti gli altri e rispetto allo sbocciare della carriera di Jordan stesso. È la storia della Nike, un’azienda di scarpe in cerca di nuovi canali di espansione per poter competere con l’Adidas e la Converse. Grazie al lungimirante agente Sonny Vaccaro, l’azienda decide di espandere la propria sfera d’influenza al mondo del basket, nella speranza di reclutare giocatori che indossino le loro scarpe. Con poco budget a disposizione, tutti sanno che un astro nascente come Jordan non firmerebbe mai con loro. Ma Vaccaro non è disposto a cedere, avendo visto qualcosa in quel giovane sfuggito a tutti gli altri.

Air – La storia del grande salto, ovvero l’origine del mito

Quello proposto in Air – La storia del grande salto non è dunque il racconto dei primi anni di attività di Michael Jordan, che volutamente non compare come personaggio ma semplicemente come presenza senza volto in alcune scene. Un’assenza, la sua, che ha perfettamente senso ai fini del film, ricordandoci non solo che, appunto, questa non è direttamente la sua storia, ma accentuando anche quel senso di inafferrabilità, di vetta inarrivabile a cui Vaccaro desidera però giungere con tutte le sue forze. Jordan è lì, davanti a lui, ma non può ancora dirlo suo, non finché quel giovane non avrà fatto la sua scelta. Una scelta che, neanche a dirlo, cambierà per sempre non solo la storia della Nike ma dell’intero mondo dello sport.

Ci troviamo dunque di fronte all’origine del mitico accordo tra la Nike e Jordan, su cui Vaccaro fa un’ardita scommessa. Interpretato da un brillante e intenso Matt Damon, è un incallito giocatore d’azzardo, come le prime scene nei casinò di Las Vegas ci suggeriscono. E proprio come lo è anche il regista Ben Affleck. Entrambi puntano tutte le proprie risorse su un risultato difficile da prevedere, ma per ottenere il quale non ci si deve affidare esclusivamente alla fortuna. Se Vaccaro cerca dunque di ottenere una vittoria andando oltre le regole, coerentemente con i principi fondanti della Nike, Affleck invece studia il modo migliore per raccontare una vicenda apparentemente semplice, svelandone però il grande fascino e impatto economico e culturale.

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Matt Damon e Viola Davis in una scena di Air – La storia del grande salto.

Una storia piccola, di persone con un cuore grande

Non solo Affleck ricostruisce minuziosamente attraverso dettagli, filmati di repertorio e la fotografia, curata dal tre volte premio Oscar Robert Richardson, un genuino sapore di quell’epoca, ma fa sempre più emergere, scena dopo scena, la dimensione intima dietro quel racconto. Perché se è vero che il tutto è raccontato attraverso gli occhi di Vaccaro, e quindi dal punto di vista della Nike e del suo bisogno di ottenere quell’accordo, è anche importante sottolineare come Air – La storia del grande salto si riveli essere un’ode alla perseveranza, al sostenere le proprie convinzioni e, naturalmente, al valore di Michael Jordan nella storia. Ma non in ultimo, il film è anche un tributo alla madre di Jordan, Deloris, qui interpretata da una sempre gigantesca Viola Davis, alla quale si devono le prime significative scelte del figlio.

Si concentra dunque sulle persone, Affleck, e attraverso i primissimi piani che dedica loro fa emergere tutto il grande cuore dietro questa storia “piccola”. Un cuore che batte molto più di quanto si sarebbe potuto ipotizzare. A questo grande cuore non corrisponde un film serioso, bensì un’opera particolarmente frizzante, movimentata da un buon ritmo e una colonna ricca dei grandi classici di quell’epoca. Ma, soprattutto, è un film divertente, che sa quando lanciare la giusta battuta. Proprio in questa leggerezza trova quindi un suo ulteriore alleato, che gli permette di distinguersi e affermarsi come un’opera particolarmente godibile. Allo stesso tempo, sono diversi i momenti in cui è difficile non emozionarsi e Affleck, dimostrando di saperli dosare a dovere, si conferma una volta di più un grande regista.

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Gianmaria Cataldo
Laureato in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è un giornalista pubblicista iscritto all'albo dal 2018. Da quello stesso anno è critico cinematografico per Cinefilos.it, frequentando i principali festival cinematografici nazionali e internazionali. Parallelamente al lavoro per il giornale, scrive saggi critici e approfondimenti sul cinema.
air-la-storia-del-grande-salto-ben-affleck-matt-damonCon Air - La storia del grande salto Ben Affleck va a raccontare un preciso evento nella carriera di Michael Jordan, apparentemente minore ma estremamente decisivo su ciò che sarebbe accaduto in futuro. Lo fa ricostruendo il sapore di un epoca attraverso una brillante combinazione di diversi materiali, bilanciando umorismo ed emozione e, soprattutto, dando spazio alle persone che hanno fatto parte di questa storia. Sono loro il cuore pulsante del film.