Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie, recensione: la maturità del franchise secondo Matt Reeves

Abbiamo visto in anteprima Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie di Matt Reeves, un capitolo maturo e spettacolare che unisce emozione, politica e visione autoriale.

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Con Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie, Matt Reeves raccoglie l’eredità di L’alba del pianeta delle scimmie e firma un secondo prequel ambizioso, cupo e intensamente politico, che conferma la rinascita del franchise lanciato nel 1968 da Franklin J. Schaffner. Dopo l’ottimo risultato del film di Rupert Wyatt, Reeves – già regista di Cloverfield e Let me in – spinge la saga verso territori più maturi, umani e moralmente complessi, dando vita a un racconto di sopravvivenza e identità che dialoga direttamente con il classico originale.

La crescente nazione delle scimmie guidata da Caesar (Andy Serkis) vive isolata nei boschi, mentre una piccola comunità di umani sopravvissuti al virus diffuso dieci anni prima tenta di riorganizzarsi tra le macerie di San Francisco. La fragile tregua tra le due specie si spezza quando il contatto si trasforma in sospetto, paura e violenza. La guerra è inevitabile, ma prima ancora che tra uomini e scimmie, essa si consuma all’interno di ciascuna comunità, dove la linea che separa la civiltà dalla barbarie è sempre più sottile.

La visione di Matt Reeves: potere, paura e umanità

Il primo capitolo della nuova saga era una riflessione sul legame fra uomo e natura, filtrata dal rapporto intimo tra lo scienziato e il suo esperimento. Apes Revolution, invece, amplia lo sguardo e mette in scena la società, la politica e la perdita della fiducia reciproca. Reeves racconta l’origine della guerra non come una semplice escalation di violenza, ma come una parabola sulla paura dell’altro: un conflitto generato dal sospetto e dall’incapacità di convivere con la differenza. In questo senso, la pellicola si fa allegoria potente della condizione umana contemporanea.

Il regista mostra grande sensibilità nel trattare i due fronti – uomini e scimmie – con lo stesso peso morale. Nessuno è completamente colpevole, nessuno davvero innocente. Le dinamiche di potere e la sete di sopravvivenza deformano entrambi, rivelando quanto “bestialità” e “umanità” siano solo due facce della stessa natura. Caesar, guida saggia e carismatica, incarna la possibilità di un equilibrio fra razionalità e istinto. Koba, invece, la ferocia cieca generata dalla paura e dal trauma. La tensione fra i due personaggi diventa la chiave simbolica dell’intero film: una battaglia ideologica prima che fisica, che riecheggia i grandi conflitti della storia.

Reeves affronta tutto questo con uno sguardo sorprendentemente empatico. La sua regia, pur tesa e muscolare, conserva un’anima romantica. La macchina da presa si muove con eleganza fra le rovine del mondo, mostrando la devastazione non come semplice sfondo, ma come eco interiore dei personaggi. I silenzi, le inquadrature ravvicinate sui volti — umani e digitali — e l’uso calibrato del ralenti contribuiscono a creare un’atmosfera quasi spirituale, in cui la violenza si alterna alla contemplazione.

La rivoluzione della motion capture

Dal punto di vista tecnico, Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie rappresenta una delle vette più alte mai raggiunte nella motion capture. La Weta Digital, già artefice delle meraviglie visive del primo film, perfeziona ulteriormente la tecnologia rendendola uno strumento espressivo e non solo spettacolare. Le performance degli attori digitali, catturate in gran parte in esterni reali e non in studio, restituiscono un senso di tangibilità e profondità emotiva senza precedenti. Ogni sguardo, gesto o esitazione di Caesar e dei suoi compagni possiede un’intensità umana e credibile, segno di una sintesi ormai perfetta fra tecnica e recitazione.

Andy Serkis, ancora una volta, offre una prova straordinaria. Il suo Caesar è un personaggio di rara complessità: un leader saggio ma tormentato, capace di compassione e rabbia, forza e fragilità. La sua interpretazione, supportata da una tecnologia invisibile, eleva l’intero film a livello drammatico, rendendo le scimmie non più “effetti speciali”, ma veri e propri protagonisti.

Accanto a lui, il cast umano – Jason Clarke, Gary Oldman, Keri Russell – svolge un ruolo complementare ma essenziale, restituendo la prospettiva di un’umanità stanca, divisa e prigioniera dei propri errori. Il contrasto tra il mondo primitivo e quello decadente degli uomini diventa così la rappresentazione visiva di un equilibrio perduto, in cui la natura sembra reclamare il suo posto.

Un kolossal dal cuore politico

Se il ritmo in alcuni momenti si fa più disteso, è perché Reeves preferisce la riflessione alla frenesia. La narrazione procede con passo misurato, privilegiando la costruzione dei rapporti e la tensione psicologica rispetto alla pura azione. In questa scelta risiede la grandezza del film — ma anche la sua debolezza per parte del pubblico mainstream. Chi si aspetta un’avventura adrenalinica troverà un racconto più introspettivo e “politico”, dove la spettacolarità è sempre subordinata al messaggio.

La fotografia di Michael Seresin alterna toni freddi e bruciati, costruendo un paesaggio visivo di grande suggestione, quasi biblico, dove la giungla e le rovine umane diventano metafore della rinascita e della fine. La colonna sonora di Michael Giacchino, a tratti solenne e tribale, amplifica il senso di destino che attraversa tutta la storia: l’inevitabile cammino verso il conflitto che porterà agli eventi del film di Schaffner del 1968.

In definitiva, Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie è il tassello centrale di un trittico che unisce spettacolo e riflessione. È un film di transizione, ma anche di maturità, in cui Reeves dimostra di essere non solo un abile regista d’azione, ma un autore capace di affrontare il mito con profondità emotiva e consapevolezza etica.

Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie
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Sommario

Un capitolo intenso e visivamente straordinario che combina azione, emozione e allegoria.
Matt Reeves firma un film di grande respiro, guidato da un Andy Serkis monumentale.

Francesco Madeo
Francesco Madeo
Laureato in Scienze Umanistiche-Cinema e in Organizzazione e Marketing della Comunicazione d'Impresa è l'ideatore di Cinefilos.it assieme a Chiara Guida e Domenico Madeo.

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