Arriva al cinema l’attesissimo Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie, ennesimo titolo del franchise lanciato nel 68’ da Franklin J. Schaffner e ora al secondo prequel diretto dal talentuoso regista di Cloverfield e Let me in, Matt Reeves. La crescente nazione delle scimmie guidata da Caesar è minacciata da una banda di umani sopravvissuti al devastante virus diffuso dieci anni prima. Uomini e scimmie sono sull’orlo di una guerra che deciderà le sorti del mondo.
Il primo capitolo debuttò accompagnato da molto scetticismo, ma convinse critica e pubblico, arrivando ad incassare mezzo miliardo di dollari in tutto il mondo. Di conseguenza la sfida raccolta da Matt Revees era piuttosto complessa, frutto anche del grande lavoro fatto con la motion capture dalla Weta Digital che sorprese un po’ tutti. Ma forte dell’esperienza, Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie è la conferma del talento del giovane narratore che in quest’occasione dispiega tutto il suo bagaglio registico/tematico ed emotivo. La pellicola di Revees si posiziona subito al centro dell’arco narrativo che porterà alla guerra e poi agli eventi raccontati nel cult del 68’ con Charlton Heston.
Ma il valore del film è soprattutto quello di farci comprendere il disagio, le ripercussioni, gli errori e la “politica” che portarono a quegli eventi. Dunque, se il primo film di Wyatt era incentrato sul rapporto umano tra un primate e il suo dottore, e l’avvento di una tecnologia portentosa; il fulcro centrale di Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie è la lotta per la sopravvivenza all’interno delle due comunità che si incontrano/scontrano, con annessa “politica e dialettica” che ci mostra quanto l’umanità e la bestialità sia dentro ogni essere vivente. Di conseguenza sorprende la bravura di Reeves nel riuscire a raccontare il tutto con uno sguardo romantico ed emotivamente coinvolto, seppur mantenendo una regia vigile e molto marcata.
Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie, il film

Apes Revolution – Il pianeta delle scimmie non è esente da difetti, che si riscontrano in un ritmo un po’ sotto tono in alcuni passaggi che appesantiscono la narrazione e una macchinosità di fondo che poco si sposa con l’esigenza del grande pubblico, desiderosa di una visione incalzante e ansiogena, ma senz’altro appagherà coloro che cercano l’abbinamento fra contenuti e spettacolarità.

