Non è insolito durante i festival incappare in documentari non proprio facili da digerire, eppure con Austerlitz di Sergei Loznitsa ci troviamo di fronte ad un esperimento nuovo e tragicamente originale. Ambientato ad Auschwitz, il regista trasforma quella che potrebbe essere una comunissima visita guidata all’interno dell’orribile campo di concentramento in una riflessione molto più profonda sulla storia, il ricordo e sull’essere umano.

 

Austerlitz

Si parla di Auschwitz quindi non solo come luogo di interesse storico ma bensì come meta turistica; Loznitsa punta la sua camera, che sembra quasi immobile, fissa su un sostegno da terra, su alcune delle location più interessanti del campo, come l’ingresso, le prigioni e i forni crematori, e filma l’andirivieni dei turisti, una marea rumorosissima di persone provenienti da tutto il mondo. Girato in bianco e nero e senza l’ausilio di sceneggiatura – le uniche battute che riusciamo a distinguere sono le informazioni sciorinate delle guide turistiche -, è chiaro che l’intento del regista fosse catalizzare l’attenzione del pubblico non sulla location ma sul comportamento delle persone.

 

Come in una sorta di strano esperimento antropologico possiamo facilmente individuare varie tipologie di turisti; ci sono i ragazzini annoiati e quelli che ignorano la guida per giocare con i cellulari, oppure i fanatici dello scatto perfetto che continuano a cambiare posizione per accaparrarsi la foto più bella o ancora comitive che, stanche di camminare per ore al sole, improvvisano un pic nic per terra; c’è chi ride e si sganascia, chi si finge interessato alla storia o chi, incurante degli orrori che quel posto nasconde, continua a scattarsi selfie davanti, per esempio, ai pali delle impiccagioni.

Austerlitz

Nonostante la monotonia e soprattutto la snervante immobilità della scena, una volta trascorsa la prima mezz’ora, Austerlitz riesce a trasformare la noia in interesse ed infine in rabbia. Se si pensa infatti ad Auschwitz lo si immagina come un luogo tetro e silenzioso ancora abitato dai fantasmi di uomini, donne e bambini che in quei luoghi sono andati incontro ad una morte orribile; ma quello che il documentario ci mostra è molto lontano dalla visione idealistica e tragicamente poetica del campo che invece appare sorprendentemente pieno di vita.

Eppure ad incuriosire e stimolare la riflessione è la quasi totale mancanza di rispetto dei turisti per i quali sembra accettabile farsi scattare una foto proprio davanti ai forni crematori. Delle immagini quindi quelle di Austerlitz che fanno male al cuore e che accendono il dibattito sull’alienazione mentale delle nuove generazioni social e sulla preoccupante perdita totali di valori.

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Carolina Bonito
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Carolina Bonito
Appassionata di cinema e televisione sin dai tempi del Big Bang, è adesso redattrice di Cinefilos e Cinefilos Serie tv e caporedattrice per Lifestar.
austerlitz-di-sergei-loznitsaNonostante la monotonia e soprattutto la snervante immobilità della scena, una volta trascorsa la prima mezz’ora, Austerlitz riesce a trasformare la noia in interesse ed infine in rabbia. Se si pensa infatti ad Auschwitz lo si immagina come un luogo tetro e silenzioso ancora abitato dai fantasmi di uomini, donne e bambini che in quei luoghi sono andati incontro ad una morte orribile; ma quello che il documentario ci mostra è molto lontano dalla visione idealistica e tragicamente poetica del campo che invece appare sorprendentemente pieno di vita.