Registi, sceneggiatori, poeti e fotografi italiani – come recita Wikipedia – i fratelli Fabio e Damiano D’Innocenzo sono ormai un nome che attira l’attenzione della stampa e degli appassionati, soprattutto di un cinema non sempre conciliatorio e mediamente in grado di suggerire riflessioni o provocare emozioni contrastanti. Come quello messo in scena da Francesco Pividori AKA Trash Secco che, a partire da una sceneggiatura dei gemelli, esordisce alla regia di un lungometraggio con il Bassifondi distribuito al cinema da Cloud 9 a partire dal 15 giugno.
In realtà, il poliedrico artista (pittore, videomaker e direttore artistico di Achille Lauro, Marracash e altri) aveva già realizzato il controverso e censurato Nefasto: er mostro de zona, distribuito – e ancora disponibile – solo online, nel quale già il suo sguardo si concentrava su una Roma diversa da quella ‘da cartolina’ alla quale siamo abituati, e lontana da quella ‘Criminale’ diventata tanto di moda. Uno sguardo che i D’Innocenzo condividono anche da registi, come dimostrato nei loro film (La terra dell’abbastanza, Favolacce e America Latina) e che sembrano prossimi a declinare in maniera diversa nei sei episodi della serie Sky Original in arrivo, Dostoevskij, che loro definiscono “la storia di un uomo, di un fantasma, di un amico” e della battaglia tra elementi diversi.
Il sottosuolo di Romeo e Callisto
In Bassifondi i protagonisti sono due, Romeo (il Gabriele Silli di Re Granchio) e Callisto (Romano Talevi). Due uomini, amici giocoforza, fantasmi per il mondo, senzatetto che abitano a Roma, sugli argini del Tevere, proprio sotto il centralissimo rione di Trastevere e il quotidiano via via di turisti e residenti. A loro chiedono “uno spiccetto” per sopravvivere, giorno dopo giorno, inventando mille espedienti, affrontando la società “di sopra” anche con ostilità. Un conflitto costante che crea tra loro “un’indissolubile dipendenza affettiva fatta di autolesionismo e nichilismo che li porterà ad affondare sempre più“. Soprattutto quando Romeo si ammala, e Callisto si trova costretto ad accudirlo.
La vita nei Bassifondi
Sin dalla prima scena, voluta dai D’Innocenzo, la macchina da presa si abbassa, forzando il nostro sguardo dove spesso non vogliamo posarlo. A guidarci, un ratto, coerentemente con l’ambientazione scelta e con il mondo raccontato. Diverso da quello del Nefasto già citato, ma ugualmente lontano da noi, dalla maggior parte di noi, ma che – più di tante storie costruite a tavolino – sembra in grado di regalare sorprese ed emozioni sincere. Non rassicuranti, magari non soddisfacenti, ché a molti il film potrà risultare indigesto, ma tali da giustificare l’augurio fatto al film da Fabio D’Innocenzo, convinto che questo Bassifondi “meriterebbe la sala piena”.
E nonostante la “sgradevolezza” che, d’altronde, è elemento costitutivo della storia pensata da Trash Secco, artista che da sempre raccoglie oggetti morti – quando non immondizia (come il suo nome suggerisce) – per dar loro nuova vita, attraverso l’arte. Al netto di alcune scene poco fluide e di una interpretazione troppo spontanea, non sempre gestita al meglio da un regista tanto ‘naturalista’, c’è molta verità nella vita messa in scena sullo schermo, e non è un merito da poco o un risultato frequente.
Il lungo percorso di una storia vera
Soprattutto quella che si intuisce conoscendo il lungo percorso di una storia nata 15 anni fa, quando il regista passeggiava nella notte romana con il fratello, ripresa grazie a un’altra coppia di gemelli e affidata a due interpreti così diversi tra loro, insieme a quelle che sembrano delle ferite personali (soprattutto quelle relative al rifiuto da parte della famiglia e dell’ostinata assenza di risposta da parte dei figli del barcollante Romeo). Due artisti visti poco al cinema, pronti a improvvisare, elemosinando davvero in riprese rubate al vero, tra centurioni e mangiafuoco. In una Roma da circo, sospesa tra angeli di marmo e un ricco bestiario che fa da contraltare alla facilmente pilotabile pietà degli uomini, le uniche costanti di questo vero e proprio multiverso sono il doloroso bisogno di “qualcosa di bello” e lo straziante senso di sconfitta degli invisibili, vittime di una cecità endemica, e dei diversi che il finale ‘arty’ cerca di ingentilire, forse annacquandolo eccessivamente.