Boyhood è la storia di Mason, ma è anche la storia di un esperimento iniziato tanto tempo fa da Richard Linklater, un regista che non ha mai amato la banalità e che speriamo non smetta di avere questa voglia di fare e scoprire cose nuove. È un progetto simile per intenti, ma parallelo, alla trilogia dei Before (Sunrise, Sunset, Midnight) in cui tempo effettivo e di finzione erano pressappoco la stessa cosa e l’invecchiamento di quei protagonisti così reali era lo stesso che copriva l’arco di uscita tra i film, ma era anche lo stesso dello spettatore affezionato alle sorti di Jesse e Celine.
In Boyhood Mason e Samantha sono due ragazzini che stanno per affrontare il lungo viaggio della vita che li porterà dalla loro infanzia ai primi problemi con l’adolescenza fino al dover lasciare la famiglia per il college. In tutto questo i genitori, da tempo separati, dovranno confrontarsi con i figli e con loro stessi per superare le numerose difficoltà che la vita proporrà a questa famiglia.
Boyhood, il film
Linklater qui invece ha girato un solo film in trentanove giorni distribuiti nell’arco di dodici anni (tra il 2002 e il 2013) creando una storia di formazione (o coming of age) diversa dal solito, in cui i classici stereotipi di questo sottogenere (primo bacio, prima volta ecc.) vengono aggirati per raccontare altro, qualcosa di decisamente più semplice e quotidiano ma forse proprio per questo ancora più vero, constatabile nello sguardo del giovane Mason, intriso di tutte le sfumature che un ipotetico spettro visibile delle emozioni potrebbe offrire.
Nonostante questo, i picchi emotivi sono praticamente assenti in tutti e due i versi, non c’è mai qualcosa di veramente drammatico o di incredibilmente esaltante, ma è la naturalezza della composizione e delle situazioni la vera forza motrice che alimenta un equilibrio costante, ma non esclude i cambiamenti e lascia alla vita il suo corso. Non mancano i mutamenti sociali, culturali, politici e tecnologici con i quali tutti ci siamo confrontati e che fanno da prezioso contorno alle vicende della famiglia. Ogni attimo della crescita è poi documentato da una gamma d’inquadrature ad hoc, tralasciando virtuosismi che sarebbero potuti diventare scomodi a lungo andare. Linklater compone questi momenti di un eleganza minimale che con l’aiuto del montaggio rendono questi passaggi cruciali (per il film) delle scene equilibrate, ma allo stesso tempo memorabili.
Nonostante la pellicola non abbia una vera e propria morale o tematiche forti, ha alla base un’idea cinematografica sviluppata in maniera totalmente innovativa in cui l’unico effetto speciale è lo scorrere della vita, ma è un effetto talmente stupefacente che permette a Boyhood di entrare di diritto nella storia del cinema.