C’erano una volta gli anni cinquanta, un’epoca in cui i giocattoli venivano costruiti con il legno, la latta, e durante le feste di Natale si regalavano ai bambini treni elettrici più di ogni altra cosa. Un’isola felice nel tempo, almeno nelle apparenze, perché come ogni era nascondeva fra le pieghe segreti e tabù ancora adesso non del tutto dissolti, anzi incredibilmente attuali. Todd Haynes raccoglie tutta la sua classe e il suo talento per dipingere – in senso letterale, a guardare la fotografia di Edward Lachman che crea tele di Hopper in movimento – Carol, un melodramma tutto al femminile che prova a raccontare la condizione della donna durante quel preciso periodo storico (sfruttando in particolar modo l’omosessualità femminile, un fenomeno allora piuttosto oscuro e difficilmente compreso, per non dire illegale).
Carol, un melodramma tutto al femminile


Carol atterra come un fiocco di neve, soffice, sulla competizione del Festival di Cannes 2015 infiammando più di un cuore. Lo fa parlando un linguaggio altissimo e una messa in scena che andrebbe studiata nelle scuole, così come il suo impatto visivo, il suo montaggio e le sue profonde, straordinarie interpretazioni. La coppia inedita Blanchett-Mara è infatti sconvolgente, pronta a solcare una traccia profonda nella mente di molti. La loro impalpabile bellezza si unisce al talento per restituire sullo schermo una chimica violenta, un contrasto viscerale capace di creare qualcosa di unico al pari di due colori primari che si mescolano. Il completamento di un’opera armonica e magistrale, capace di insegnare più di quanto mostra, più di quanto racconta.
