Cento Domeniche: recensione del film di Antonio Albanese – #RoFF18

Il film è stato presentato nella sezione Grand Public alla 18esima edizione della Festa del Cinema di Roma.

Cento Domeniche film recensione

Alla sua quinta regia, Cento Domeniche, Antonio Albanese scatta una desolante e sconcertante fotografia del sistema finanziario italiano. In questo suo ultimo film, che va inserendosi nella cornice della 18esima edizione della Festa del Cinema di Roma, il regista ne compie una denuncia schietta ed esplicita, condannandolo attraverso un espediente narrativo estremo ma molto realistico. Le banche da sempre custodiscono i nostri tesori, quei risparmi messi da parte per una vita intera con sudore, sacrifici e fatica, dai quali attingiamo per realizzare i nostri sogni. Gli stessi che a causa di un organismo fallace, come ci dimostrerà Cento Domeniche, possono essere persi all’improvviso, senza che si possa avere una chance di agire o attutire il colpo in qualche modo.

Albanese in quest’opera decide dunque di analizzare uno spaccato di realtà del Bel Paese non facile da digerire, che coinvolge e logora molti cittadini (più di quelli che si possa immaginare) nel cui sistema hanno riposto la loro massima fiducia. Ma la triste verità è che, fruendolo, il racconto portato sullo schermo dal regista/attore si scopre essere universale, oltre che specchio attraverso cui riflettersi, poiché se si volge lo sguardo oltre la nostra penisola, ci si accorge di quanto situazioni simili siano comuni anche in altre parti del mondo. Cento Domeniche arriva in sala dal 23 novembre distribuito da Vision Distribution.

La trama di Cento Domeniche

Antonio è un operaio andato in prepensionamento, che abita con la madre anziana e conduce una vita normale e regolare. Separato dalla moglie ha con lei una sola figlia, Emilia, con la quale giocava a portarla all’altare sin da quando aveva cinque anni. Fino a che quel passatempo ad un certo punto non diventa realtà: Emilia sta davvero per convolare a nozze con Chicco, e Antonio è così entusiasta di star realizzando il suo (e anche il proprio) sogno che si offre subito di pagare tutto il matrimonio. È questo il suo regalo, qualcosa a cui l’uomo tiene molto e non vuole rinunciare. Le spese però sono molto alte, e così decide di recarsi in banca per prelevare i risparmi che fino a quel momento ha messo da parte.

Arrivato nella sua filiale di fiducia, Antonio si trova a parlare con il suo nuovo direttore, un certo Luca Gilardi, il quale gli dice che le obbligazioni che credeva di avere sono in realtà azioni, suggerendogli di continuare a investirci su e nel frattempo, per le nozze, chiedere un prestito. Dopo un primo tentennamento, l’uomo decide di seguire un consiglio che, poco tempo dopo, si rivelerà disastroso. La banca, infatti, va in crisi. Nonostante molti gli dicano che non possa essere vero e che sono piccoli problemi di passaggio, Antonio scoprirà che sta perdendo tutti i suoi soldi. E con essi anche il sogno di rendere felice la sua Emilia.

Cento Domeniche Antonio Albanese

Dentro un sistema corrotto

Il crac finanziario. Il fallimento, la crisi. La codardia di un apparato che regge in piedi un Paese intero. In Cento Domeniche Antonio Riva deve scontrarsi con tutto questo quando scopre che le sue azioni – che lui credeva fossero obbligazioni – stanno crollando. Nessuno gli dà spiegazioni. I dipendenti della banca alla quale lui si è affidato, come suo padre ancor prima, sono evasivi e criptici. “Va tutto bene”, gli dicono, “non c’è da preoccuparsi”. Ma nel frattempo Antonio i suoi soldi, risparmi per cui “ha lavorato tutta una vita”, li vede sempre più lontani, quasi trasparenti. Fino a quando non scompaiono. E con essi la sua ragione. Albanese dipinge un ritratto atroce ma al tempo stesso lucido di quella che è l’Italia oggi, con le sue menzogne e contraddizioni. Un’Italia che dovrebbe essere dalla parte del popolo, ma che qui ne diventa nemica in trincea, corrotta, che assiste freddamente alla sua depressione. A rappresentarla c’è un solo uomo, per l’appunto Antonio, il quale diventa canale preferenziale attraverso cui esplicitarne le tematiche, e al quale Albanese si affida, interpretandolo, per farlo essere la voce della comunità.

Antonio è un padre umile. Un uomo perbene che non ha mai mancato un giorno di lavoro, che si è sempre speso per la sua famiglia e ha un sogno nel cassetto da sempre: portare la figlia all’altare e pagarle il matrimonio che tanto immaginavano insieme quando era piccola. Ma che alla fine si trasforma, indotto da un sistema che nel momento del bisogno lo inganna e tradisce. Fino a spingerlo al limite, in una vera e propria odissea, portandolo all’esasperazione perché non in grado di assumersi le proprie responsabilità. La felicità di Antonio lentamente va spegnendosi per lasciare il posto al turbamento, alla frustrazione, all’ira, tutti sentimenti ed emozioni che Albanese fa suoi per restituirci un protagonista affranto e addolorato, che pur non volendo si smarrisce. La tenerezza e la gioia che si rintracciavano all’inizio nei suoi occhi, occhi di un padre che ama la figlia e vuole per lei solo il meglio, scompaiono gradualmente, spazzate via dall’indifferenza e dalla falsità non solo di chi lo ha preso in giro, ma anche da quegli amici che lo rassicuravano quando invece erano più che consapevoli della sua disastrosa condizione. Ma essendo ricchi, non potevano ammettere di essere stati privilegiati.

Antonio Riva siamo tutti noi

Ed è così che Antonio Albanese nel suo acuto discorso disegna uno scenario disarmante in cui è compresa anche una riflessione sulle classi sociali, i suoi dislivelli, il grande gap che vi è fra queste e le ingiustizie radicate. La sua regia è netta, così come la sceneggiatura che cura insieme a Piero Guerrera: niente è lasciato in sospeso, ma soprattutto alcuna sequenza gioca sull’eccesso o la teatralità. Il picco emotivo Albanese lo confina nel climax finale, sentito, giusto nei tempi, forte, accorato e commovente, in cui si concentra tutto il senso del film e il malessere del protagonista che, di riflesso, invade anche lo spettatore. Il quale, inevitabilmente, dopo il crescendo di tensione e apprensione, è più capace di assorbirlo. Come se fosse lui. E in fondo lo è. Perché Cento Domeniche non è un film dedicato solo a coloro che sono finiti nel vortice del crac. È dedicato a tutti gli italiani che, sostanzialmente, hanno perso la fiducia. E questa concretezza, questo realismo dell’opera, non possono che fare male.

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RASSEGNA PANORAMICA
Voto di Valeria Maiolino
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Valeria Maiolino
Classe 1996. Laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza, con una tesi su Judy Garland e il cinema classico americano, inizia a muovere i primi passi nel mondo della critica cinematografica collaborando per il webzine DassCinemag, dopo aver seguito un laboratorio inerente. Successivamente comincia a collaborare con Edipress Srl, occupandosi della stesura di articoli e news per Auto.it, InMoto.it, Corriere dello Sport e Tutto Sport. Approda poi su Cinefilos.it per continuare la sua carriera nel mondo del cinema e del giornalismo, dove attualmente ricopre il ruolo di redattrice. Nel 2021 pubblica il suo primo libro con la Casa Editrice Albatros Il Filo intitolato “Quello che mi lasci di te” e l’anno dopo esce il suo secondo romanzo con la Casa Editrice Another Coffee Stories, “Al di là del mare”. Il cinema è la sua unica via di fuga quando ha bisogno di evadere dalla realtà. Scriverne è una terapia, oltre che un’immensa passione. Se potesse essere un film? Direbbe Sin City di Frank Miller e Robert Rodriguez.
cento-domeniche-antonio-albaneseAntonio Albanese scatta una desolante e sconcertante fotografia del sistema finanziario italiano. In questo suo ultimo film, il regista ne compie una denuncia schietta ed esplicita, condannandolo attraverso un espediente narrativo estremo ma molto realistico, sintonizzando tutta la storia sui toni del dramma, senza però mai essere eccessivo.