Cogan – Killing Them Softly: recensione del film con Brad Pitt

Cogan - Killing Them Softly

In Cogan – Killing Them Softly un attempato Vincent Curatola (l’immenso Johnny Sak dei “Sopranos”) assume  Frankie (Scoot McNairy) e Russell (Ben Mendelsohn), due svitati che credono di essere in gamba, per compiere una rapina a una partita di poker protetta dalla mafia, provocando così il collasso dell’economia criminale locale. Ci pensa il sicario professionista Jackie Cogan (Brad Pitt) a rimettere a posto le cose, ingaggiato dai vertici della malavita per scoprire l’autore della rapina e ripristinare il giro di soldi dovuto dalle bische clandestine.

 

Cogan – Killing Them Softly, il film

Cogan – Killing Them Softly, terzo film del neozelandese Andrew Dominik (Chopper, L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford) è un misto di generi dalle alte pretese ma dal basso interesse. Dopo un inizio folgorante per l’ottima scrittura, le ciniche battute sulle storie strampalate messe in bocca ai malavitosi di turno, la noia cala inesorabilmente su 97 minuti di pellicola percepiti come fossero almeno il doppio. Un misto tra un pulp politico con scene al rallenty, un film di Guy Ritchie e l’intenzione di voler reinventare il genere dell’action comico dei fratelli Coen con l’aggiunta di elementi mutuati dal mondo del videoclip  e i procedurali più famosi del mondo delle serie tv come i vari CSI.

Come se non bastasse, ad accompagnare le vicende di Cogan non c’è nessuna colonna sonora se non il discorso, portato avanti da qualche radio o televisione, sul tracollo dell’economia degli Stati Uniti d’America ai tempi del dibattito Bush-Obama. L’azzardato parallelo tra politica-economia e mondo della criminalità organizzata va in una direzione unica: la solitudine individualista del capitalismo che si contrappone al discorso di Obama sull’unico popolo (quello americano) e sul senso di comunità.

Dominik tenta di portare su schermo il romanzo di George V. Higgins spostando, provocatoriamente, la vicenda dalla Boston degli anni ’70 alla New Orleans del 2008 in cui si aggira uno spettro, quello del capitalismo, che non lascia respiro in una pellicola verbalmente incontinente. Una scrittura brillante e interpreti d’eccezione non bastano per fare di un film un buon film.

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