Arriva alla Festa del Cinema di Roma, nella sezione Special Screenings, il nuovo documentario di Riccardo Cremona e Matteo Keffer Come se non ci fosse un domani, che esplora in modo incisivo le motivazioni e le azioni del movimento Ultima Generazione, che si batte contro il cambiamento climatico attraverso atti di disobbedienza civile. Con la consulenza dello scrittore Paolo Giordano e prodotto da Paolo Virzì, il progetto racconta le storie dei protagonisti di questa campagna, tra speranze, timori e una visione del mondo profondamente scossa dall’emergenza climatica.
(Non) c’è ancora domani
Il documentario si concentra sulla vita di cinque giovani attivisti, offrendo uno spaccato dei sacrifici e delle sfide che affrontano nel tentativo di far emergere un’urgenza globale. Le loro azioni, spesso controverse e al limite della legalità, includono blocchi stradali, imbrattamenti di edifici istituzionali e opere d’arte. Questi gesti estremi, che hanno attirato l’attenzione di media e politica, sono espressione di una generazione che si definisce “l’ultima” in grado di invertire una situazione climatica prossima al punto di non ritorno. Attraverso un linguaggio diretto e senza filtri, Cremona e Keffer narrano i retroscena di una lotta in cui il sacrificio personale viene posto al servizio del bene comune, creando un racconto corale carico di empatia e profondità.
Tra questi, c’è Michele Giuli, co-fondatore di Ultima Generazione, che racconta che il tutto è iniziato con un forte senso di ansia ed incertezza, che ha trovato una corrispondenza in alcuni video dell’agricoltore gallese e attivista ambientale Roger Hallam, in cui “era davvero furioso”. Vedere che la rabbia era assolutamente qualcosa di presente lo ha fatto sentire meno a disagio, confessa: questo sentimento serve a far capire alle persone che c’è un problema, convince perché trasuda convinzione. C’è poi Beatrice Pepe, che dice che fino a qualche anno fa pensava di sapere esattamente cosa volesse dalla vita: una bella casa in città, un armadio pieno di vestiti, ed è proprio sovvertendo le aspettative che si presenta ai dibattiti in televisione, vestita e truccata da “bella ragazza”. Conosciamo anche Chloe Bertini, che ha studiato danza per tutta la vita e afferma di aver voluto contribuire al cambiamento sociale tramite il ballo, rendendosi poi conto che fosse un sogno ingenuo: adesso, il suo corpo al posto di ballare blocca le strade. Grande attenzione è posta inoltre su Simone Ficicchia, attivista del collettivo ambientalista, che si distingue per il suo ruolo di primo piano in varie azioni di protesta contro l’uso dei combustibili fossili.
L’urgenza come motore
Tramite questi molteplici punti di vista, arriviamo a capire come è nata l’idea di un metodo di protesta provocatorio e controverso, che include imbrattare monumenti, fontane, palazzi e opere d’arte, al fine di veicolare un messaggio incisivo. La disobbedienza civile, per i membri di Ultima Generazione, deve uscire dagli schemi convenzionali, superando ciò che ci si aspetterebbe da un attivista, per sorprendere e scuotere chi osserva.
Così, davanti ai nostri occhi scorrono le immagini del blitz davanti a Palazzo Madama, il blocco del traforo del Monte Bianco, il fango davanti al tribunale di Bologna come flash-mob di protesta, l’imbrattamento del Consiglio regionale della Toscana e tante altre azioni tramite cui UG ha voluto veicolare l’urgenza di un cambiamento sociale e politico. I luoghi del potere, ingrigiti da smog e piogge acide, vengono colorati per alcuni secondi, fino a quando Ficicchia o altri attivisti, cessato il getto di vernice, si posizionano al centro della scena per spiegare i tre messaggi principali: chi è il collettivo Ultima Generazione, il perché della protesta – ovvero la richiesta al governo di interrompere i sussidi pubblici per le fonti fossili – e l’invito ai cittadini a unirsi alla resistenza civile. Le immagini di queste azioni sono pensate per lasciare un segno duraturo nella memoria di chi le osserva.
Cosa siamo disposti a fare per proteggere il nostro pianeta?
Come se non ci fosse un domani è un viaggio in una realtà complessa, dove la crisi climatica non è più un semplice problema, ma un contesto in cui l’umanità si trova a vivere quotidianamente. Il progetto di Cremona e Keffer non si limita a descrivere le proteste, ma cerca di andare oltre le immagini sensazionalistiche dei media, offrendo una narrazione profonda e onesta sulle motivazioni di una generazione che si sente inascoltata e priva di prospettive per il futuro. Sostanzialmente, affronta un tema di portata universale e invita lo spettatore a riflettere su cosa significhi, oggi, lottare per un domani migliore, ricordandoci che questa battaglia non riguarda solo pochi idealisti, ma è una questione collettiva.
Il cuore del documentario risiede proprio nella sua capacità di portare il pubblico a confrontarsi con un interrogativo profondo e personale: cosa siamo disposti a fare per proteggere il nostro pianeta? Questo film diventa quindi un invito ad agire, a mettere da parte l’indifferenza e a prendere posizione di fronte a una crisi climatica che non può più essere ignorata. Tutto ruota attorno al quanto è grande la conversazione che si genera, non quanto è esatta: lo sviluppo di un’auto-pedagogia, il collettivo che forma un’idea sul tema e se ne appropria, perchè capisce che non può più essere rimandata al tempo del futuro, che è anche quello dell’incertezza.
Come se non ci fosse un domani
Summary
Come se non ci fosse un domani racconta efficacemente la prospettiva del collettivo Ultima Generazione che, al di là delle posizioni dello spettatore, riesce anche a mettersi in discussione in questo documentario, cercando di rispondere ad alcune delle maggiori controversie sulle loro azioni di disobbedienzia civile.