#RomaFF12: Cuernacava, la recensione del film di Alejandro Andrade

Cuernacava

In una sala semi deserta è stato presentato alla Festa del Cinema di Roma Cuernacava di Alejandro Andrade, apprezzato regista messicano di serie tv e documentari. Un film che forse sarebbe stato più adatto ad Alice nella Città, piuttosto che nella selezione ufficiale.

 

Andy è un ragazzo introverso che vive solo con la madre. Non ha amici, il padre è lontano e fa fatica a inserirsi nel contesto scolastico,  a rapportarsi con i suoi coetanei. Un giorno sua madre viene uccisa durante una rapina e il ragazzo viene mandato temporaneamente dalla nonna, a Cuernacava, una cittadina nel cuore del Messico, tanto bella, quanto pericolosa.

Trovando un vecchio cellulare comincia a cercare di contattare di nascosto il padre, visto che la severa nonna sembra non volergli rivelare la verità su di lui. Durante la sua permanenza forzata stringerà amicizia con la figlia della donna, una ragazza down che alleva e cura ossessivamente gatti. Stringe anche amicizia con un giovane giardiniere, che lo porterà a perdersi nel suo stile di vita balordo.

Il film si apre con una sequenza folgorante, dove un frutto polposo cade da un albero e viene divorato dalle formiche. La ripresa al rallentatore esasperato, di tipo scientifico, e l’utilizzo del macro per riprendere i famelici insetti rendono questa introduzione la giusta metafora di quanto poi verrà narrato nel corso della storia. Si ritrovano poi altri momenti simili il più punti della pellicola, che fanno da contrappunto di morte a quell’apparente bellezza, che è in realtà solo una patina di superfice.

Alejandro Andrade costruisce un impalcatura solida e funzionale, ma eccessivamente fredda, che non riesce mai a coinvolgere e permettere di empatizzare con il ragazzo protagonista, sicuramente molto bravo, ma non abbastanza libero di giocare con quella gamma di sentimenti che il suo personaggio richiederebbe. Anche la nonna, interpretata da Carmen Maura, soffre dello stesso limite. È sempre severa, trattenuta, senza lasciar trasparire quel briciolo di fragilità di cui è invece carica. Sono scelte, certo, e non si può dire che Cuernavaca non sia un film ben scritto e ben diretto, ma si ha l’impressione che il fattore estetico abbia preso il sopravvento sulle emozioni, lasciando una straniante sensazione di distacco.

Le immagini, appunto, sono bellissime, soprattutto quando descrivono la villa lussuosa della nonna di Andy, la cucina nella serra dove viene preparata la marmellata di frutti tropicali, o il giardino tropicale dove è proibito andare e dove il ragazzo e il giardiniere si rifugiano, entrando da una porticina nascosta tra la vegetazione. Viene chiaramente in mente Il Giardino Segreto e con tutta probabilità è un riferimento voluto. Anche quando il regista esplora il lato degradato del luogo, fatto di baracche, luna park, popolato di ladri, rapinatori e balordi, lo fa con eleganza e con grandissimo gusto visivo.

Una classica storia di passaggio dall’infanzia all’età adulta, attraverso il trauma della morte violenta e improvvisa di una persona cara, ambientata in un microcosmo apparentemente paradisiaco, che cela però dolori e segreti. Un film costruito con eleganza, ma affetto da un eccessiva freddezza che ne limita le grandi potenzialità.

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