Con Duse, presentato in Concorso a Venezia 82, Pietro Marcello affronta un’impresa delicata: restituire sullo schermo l’anima di Eleonora Duse, l’attrice più celebrata del teatro italiano, senza poter contare su immagini o registrazioni della sua arte. Il suo talento viveva solo nell’istante teatrale, consumato tra palco e pubblico. Marcello, invece di cedere alla tentazione della biografia tradizionale, costruisce un ritratto libero, che appartiene tanto a lui quanto alla sua interprete, Valeria Bruni Tedeschi.
La storia si concentra sugli ultimi anni di vita della Duse, quando, dopo oltre un decennio di lontananza dalle scene, sente il bisogno di tornare al teatro. Ma il tempo non perdona: la salute è fragile, il pubblico è cambiato, l’Italia è scossa dal dopoguerra e dal montare del fascismo. Il ritorno sulle tavole non è dunque solo un atto artistico, ma una battaglia per riaffermare la propria identità in un mondo che sembra non avere più spazio per lei.
Valeria Bruni Tedeschi e la sua “Duse”
Il cuore pulsante del film è l’interpretazione di Valeria Bruni Tedeschi. L’attrice, amatissima in tutta Europa, affronta la sfida con una misura sorprendente. Non si lascia sedurre dall’idea di imitare la “divina” e nemmeno dall’enfasi teatrale: la sua Duse è fragile e austera, quasi monacale, ma al tempo stesso animata da una volontà incrollabile. Ogni sguardo e ogni pausa parlano di un’arte che non è più solo un mestiere, ma una missione esistenziale.
La regia di Marcello sostiene questa costruzione attraverso una costante contaminazione visiva: immagini di fiction si intrecciano a materiali d’archivio, autentici o reinventati, creando un flusso sospeso tra realtà e invenzione. È un dispositivo che restituisce la natura stessa della Duse: una leggenda senza volto filmato, che rivive soltanto nel racconto e nella memoria.
Un ruolo importante, anche se laterale, lo ha la figura di Gabriele D’Annunzio. Per la Duse interpretata da Bruni Tedeschi, il poeta non è più il celebre amante, ma un’assenza ingombrante, una ferita che continua a esercitare il suo peso. Non è il ricordo di una relazione a dominare, ma il racconto di una mancanza, di un vuoto che non smette di bruciare.
Tra realismo magico e limiti narrativi
Come già in altri suoi lavori, Marcello non si limita a raccontare la Storia, ma la attraversa con uno sguardo visionario. Anche Duse subisce l’influsso del realismo magico di Marcello: la precisione della ricerca storica si intreccia a invenzioni poetiche, creando un’atmosfera sospesa. Fotografia, costumi e luci non puntano a una ricostruzione calligrafica, ma evocano un’epoca che sembra galleggiare tra il reale e l’immaginario.
Tuttavia, non tutto funziona con la stessa forza. La seconda parte del film si appesantisce: la durata rischia di farsi eccessiva, e la recitazione di Bruni Tedeschi, fin lì impeccabilmente controllata, cede talvolta a un eccesso espressivo che smorza la potenza del ritratto. Il risultato è un film che conserva momenti di rara intensità ma che avrebbe guadagnato da un montaggio più asciutto.
L’opera rimane affascinante: non è un biopic canonico, ma una riflessione sull’essenza stessa dell’arte, sul rapporto tra l’artista e il tempo, tra la creazione e il potere. La Duse di Marcello non è solo una donna che torna a recitare, ma una figura che si erge come simbolo di resistenza, anche di fronte alla malattia e all’avanzata della Storia.
Nel contesto della Mostra, Duse difficilmente sposterà gli equilibri del concorso, troppo imperfetto per imporsi come titolo di punta. Ma l’interpretazione di Valeria Bruni Tedeschi potrebbe fare la differenza: la sua prova, intensa e internazionale, ha tutte le carte per attrarre le simpatie della giuria.
Pietro Marcello, ancora una volta, conferma la sua unicità: un autore che cerca di restituire l’essenza delle vite che racconta attraverso immagini che oscillano tra memoria e sogno.
Duse
Sommario
Non un biopic canonico, ma una riflessione sull’essenza stessa dell’arte, sul rapporto tra l’artista e il tempo, tra la creazione e il potere.