Alaska: recensione del film con Elio Germano

Alaska

Alaska non è solo il titolo dell’ultimo film presentato oggi da Claudio Cupellini con protagonista Elio Germano e Astrid Berges-Frisbey: si tratta di una sorta di stato della mente, di condizione esistenziale vissuta dai due protagonisti -Fausto e Nadine- alla disperata ricerca della felicità.

 

Si incontrano all’inizio del film e si amano da subito, e forti del loro amour fou affrontano i primi ostacoli, tipo i due anni di prigione che sconta lui per averla difesa. Una volta uscito, Fausto è pronto a costruire una vita con la donna che ama, abbandonando Parigi e tornando in Italia, a Milano, per seguire la sua carriera come modella. È proprio nel capoluogo lombardo, dove si mescolano amore e lavoro che le loro esistenze vivono un cortocircuito che li costringe ad affrontare ostacoli sempre più insormontabili che li allontanano, man mano, l’uno dall’altra.

Alaska

L’Alaska di cui si parla nel titolo è una discoteca, un locale che Fausto accetta di gestire insieme ad uno stravagante personaggio-tale Sandro-incontrato ad una festa con Nadine: la storia che l’uomo racconta, a proposito del primo re delle popolazioni locali, ri-evoca il mito di una terra lontana, una sorta di fredda e remota “Eldorado” dove tutti un tempo, andando a caccia di oro, potevano ambire ad essere felici. Adesso, questa corsa forsennata spetta a Fausto e Nadine, coppia in bilico tra amore e ragione: sacrificare i propri sogni e i propri desideri può portare alla felicità?

Come nell’epico romanzo di F. S. Fitzgerald Il grande Gatsby, fonte d’ispirazione della pellicola, i personaggi sulla scena affrontano la realtà cercando la via più breve-e comprensibile- per decifrare i loro sentimenti e i loro desideri, per capire davvero cosa vogliono dalla vita; l’arco narrativo di cinque anni diventa così il racconto di formazione di due persone, di due solitudini che si incontrano e che non hanno nessun’altra boa di salvataggio alla quale aggrapparsi, se non l’uno all’altra.

I buoni presupposti teorici di Cupellini si perdono nel ritmo lento e “fangoso” della pellicola, un pantano emotivo senza barlumi che centellina gli eventi contravvenendo a qualunque regola narrativa tradizionale; così il regista sceglie piuttosto di disseminare la pellicola di tanti- troppi – colpi di scena che dovrebbero servire a tenere alta l’attenzione dello spettatore, ma che purtroppo hanno un unico esito, ovvero rendere forzata la narrazione di una storia d’amore promettente su carta e che in realtà tende a  perdersi tra le debolezze della propria ossatura narrativa.

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Ludovica Ottaviani
Ex bambina prodigio come Shirley Temple, col tempo si è guastata con la crescita e ha perso i boccoli biondi, sostituiti dall'immancabile pixie/ bob alternativo castano rossiccio. Ventiquattro anni, di cui una decina abbondanti passati a scrivere e ad imbrattare sudate carte. Collabora felicemente con Cinefilos.it dal 2011, facendo ciò che ama di più: parlare di cinema e assistere ai buffet delle anteprime. Passa senza sosta dal cinema, al teatro, alla narrativa. Logorroica, cinica ed ironica, continuerà a fare danni, almeno finché non si ritirerà su uno sperduto atollo della Florida a pescare aragoste, bere rum e fumare sigari come Hemingway, magari in compagnia di Michael Fassbender e Jake Gyllenhaal.
festa-di-roma-2015-alaska-recensione-del-film-con-elio-germanoI buoni presupposti teorici di Cupellini si perdono nel ritmo lento e "fangoso" della pellicola, un pantano emotivo senza barlumi che centellina gli eventi concedendo troppi, improbabili, colpi di scena che appesantiscono la vicenda.