FOXCATCHER

Arriva anche nei cinema italiani Foxcatcher, l’atteso film di Bennett Miller, basato sulla vera storia di John du Pont con protagonisti Channing Tatum, Mark Ruffalo e Steve Carell.

 

In Foxcatcher Mark Schultz (Channing Tatum) e suo fratello Dave (Mark Ruffalo) sono campioni olimpici di lotta. Dave è anche l’allenatore di Mark. Da opposti – Dave sicuro, protettivo, accogliente; Mark un omone fragile, ma desideroso di uscire dall’ombra dell’amato-odiato fratello – i due vivono in simbiosi.

Quando John du Pont (Steve Carell), eccentrico milionario in cerca di grandi imprese da compiere per avere approvazione – in primis dall’anziana madre (Vanessa Redgrave) – gli offre di entrare nella sua squadra per le Olimpiadi e trasferirsi alla sua tenuta, Foxcatcher, per allenarsi, Mark accetta. Du Pont prima si fa amare come un padre da Mark, poi si stanca di lui, mentre insiste per coinvolgere anche Dave in quello che sembra sempre più un perverso gioco psicologico.

Foxcatcher, il film

Foxcatcher

Ultimi scampoli di Guerra Fredda, sulle prime sembrerebbe un film di sport e patriottismo che ne ricorda altri – Mark Schultz pare a tratti un mix tra lo Stallone di Rocky e il suo famigerato avversario russo – ma, a ben guardare, è l’opposto. Qui patria, primato e grandezza della nazione sono parole vuote in bocca a du Pont, rampollo di una delle famiglie simbolo della ricchezza e del successo americano (il film è tratto da una storia vera), che ne fa emergere il lato oscuro, perverso. Angolazione sportiva, quindi, per guardare all’intenso rapporto tra due fratelli e alla follia di un uomo, ampliando poi la prospettiva all’America tutta. Il regista Bennett Miller riesce così a far seguire un film di sport anche a chi non lo ama.

Pellicola abilmente costruita: la natura di du Pont e la complessità del rapporto tra Mark e Dave, come la dinamica che s’innesca tra i tre, si scoprono pian piano, coinvolgendo lo spettatore e avvincendolo fino alla fine. Ciò, grazie all’attenzione ai particolari: postura, gesti e sguardi fanno buona parte del film fin dall’inizio; inquadrature e silenzi espressivi portano oltre la battuta e rendono possibile lo scavo psicologico. Ciò che lascia semmai un po’ perplessi nella sceneggiatura di Dan Futterman ed E. Max Freye, è la singolare sottovalutazione da parte di Dave di un soggetto come du Pont.

Attori ben scelti, con un Carell sorprendente, che incarna egregiamente du Pont: una figura di folle che non si dimentica facilmente, in perenne lotta con sé stesso e con l’anziana madre, da cui è dominato. Meritata candidatura all’Oscar come attore protagonista, come pure quella di Ruffalo non protagonista; nomination anche per regia e sceneggiatura; Palma d’Oro a Cannes per Miller. Ruffalo e Tatum si immergono a loro volta nella costruzione dei personaggi, dando vita a un legame fraterno difficile e toccante. Preparazione fisica non facile per entrambi, ma quello che colpisce di più è il lavoro su posture e atteggiamenti, notevole soprattutto nel caso di Ruffalo, che fa il suo personaggio anche col tono di voce e l’incedere del parlare.

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