Free Fire: recensione del film con Brie Larson

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Dispiace che la distribuzione italiana si sia quasi dimenticata di un film come Free Fire, salvo poi recuperarlo a più di un anno di distanza dalla sua presentazione a festival americani e nazionali (fu in concorso a Torino nel 2016) fissandone l’uscita in questi giorni.

 

Esperimento, più che riuscito, di mescolanza fra generi – c’è il gangster, la comedy, perfino qualche nota squisitamente tarantiniana – il sesto lungometraggio dell’inglese Ben Wheatley (Kill List, High Rise) risveglia in chi guarda il divertimento e la consapevolezza che un certo tipo di cinema “sperimentale” è possibile anche fra le righe del racconto classico, in una struttura semplice che non esclude grandi personaggi e risvolti morali interessanti.

Tutto, in Free Fire, accade in una sola location: recuperata una teatrale unità di spazio e tempo, il regista rinchiude i suoi nove protagonisti dentro l’inferno ideale (o ideologico?) di un vecchio magazzino dove quelli si ritrovano per finalizzare uno scambio di armi; due le fazioni – una americana, l’altra irlandese, come nella migliore tradizione di genere – innumerevoli i desideri nascosti delle nove teste da far saltare e un obiettivo comune: agguantare la valigetta contenente centinaia e centinaia di dollari. Finché qualcosa andrà storto, e gli equilibri si sfalderanno completamente. Chi sopravviverà in questo feroce, ma anche spassoso e imprevedibile gioco al massacro?

Sviluppo della tensione e il movimento interno ai percorsi mentali

Dopo un’abbondante mezz’ora di studio, il film finalmente esplode. Uno strano heist movie da camera che, di fatto, un colpo da maestro non lo realizzerà mai. E se l’incidente di percorso che scatena la carneficina potrà sembrare una pura banalità (battibecchi di natura familiare risolti con un sonoro pugno in faccia), sono invece lo sviluppo della tensione e il movimento interno ai percorsi mentali dei nove la vera gemma di Free Fire e il motivo per cui essere entusiasti durante la visione.

Fa piacere leggere il sostegno produttivo di un colosso americano come Martin Scorsese, che nel progetto di Wheatley avrà intravisto qualcosa di fresco, ma dal fascino vintage, disegnato nei completi anni Settanta indossati con stile da Sharlto Copley, Armie Hammer, Cillian Murphy, Sam Riley e la deliziosa e risoluta Brie Larson. Senza ombra di dubbio la cosa migliore e vero elemento di disturbo in un cast tutto al maschile. La contemporaneità passa anche, e soprattutto da qui d’altronde, nella rivalutazione e nell’incidenza del ruolo femminile in un genere come questo.

Raffinata l’arte dell’insulto, con pagine e pagine di battute scelte con cura, precisa la regia di Ben Wheatley (il ragazzo ha studiato, e si vede), insomma niente viene lasciato al caso in Free Fire. Nemmeno l’ordine delle uccisioni, il numero dei colpi, la stretta finale che a forma di imbuto inghiotte i malcapitati criminali lasciandone libero soltanto uno. O una, chissà.

Ciò che resta, ed è una certezza assoluta al termine del film, è la gioia di aver assistito ad uno spettacolo di genuina bontà, divertito della sua stessa spiazzante credibilità ma verosimile quando affronta – anche in maniera sgangherata – le complesse sfumature dell’animo umano, i desideri, gli istinti primordiali e lo spirito di sopravvivenza in situazioni ostili. E l’epilogo, e qui ci fermiamo, è ancora più inaspettato e formidabile di quanto avremmo immaginato.

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RASSEGNA PANORAMICA
Cecilia Strazza
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Cecilia Strazza
Redattore e critico cinematografico per Cinefilos e Sentireascoltare.
free-fireCiò che resta, ed è una certezza assoluta al termine del film, è la gioia di aver assistito ad uno spettacolo di genuina bontà, divertito della sua stessa spiazzante credibilità ma verosimile quando affronta - anche in maniera sgangherata - le complesse sfumature dell’animo umano, i desideri, gli istinti primordiali e lo spirito di sopravvivenza in situazioni ostili.