French Connection: recensione del film con Jean Dujardin

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French Connection di Cédric Jimenez ha fatto rimbalzare sulle riviste specializzate di mezzo mondo la notizia che il polar francese non è morto, ma è in splendida forma, come ci dimostra questa pellicola interpretata dal premio Oscar Jean Dujardin (The Artist) e da Gilles Lellouche, due star disposte a confrontarsi con un genere “nudo e crudo”.

 

Al “timone” produttivo troviamo Ilan Goldman, figlio d’arte di Daniel, già dietro il successo di un classico del genere Borsalino, 1970, con Alain Delon e Jean- Paul Belmondo.

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Nel realizzare la sceneggiatura Jimenez – con Audrey Diwan – è partito dal racconto di fatti di cronaca nella Marsiglia di metà anni ’70, mescolando cronaca, realtà, suggestioni e ricordi, Jimenez ricostruisce un luogo (non) lontano nel tempo, nello spazio e nella memoria – soprattutto francese – evocando sulla carta e sullo schermo i personaggi del giudice Pierre Michel e del Padrino della mala marsigliese Gaetan Zampa: nel 1975 il primo, giovane giudice che si occupa del tribunale dei minori, viene inviato nel Sud della Francia ed incaricato di occuparsi del traffico di eroina gestito dalla malavita- ed in particolare da quel movimento “tentacolare” meglio noto come French Connection- cercando di arrivare al suo vertice per sgominarla; il secondo, boss assoluto meglio noto come Il Grande, un intoccabile che gestisce il suo losco impero e i suoi “scagnozzi” dall’alto della sua potenza. Lo scontro tra i due è inevitabile e il tono epico del dramma aleggia fin dai primi minuti.

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French Connection recensione del film con Jean Dujardin

Tragicità, forza, ritmo, azione: l’eterna lotta manichea tra bene e male viene riletta dal regista utilizzando i codici del tradizionale polar portato al successo da autori come Melville, Deray, Verneuil, Corneau e Marchal, ma aggiornandoli ad oggi e contaminandoli con lo stile di registi americani come Martin Scorsese o William Friedkin, non a caso regista di un film dal titolo omonimo The French Connection.

Il risultato è un thriller atipico ma tradizionale allo stesso tempo, forte di una regia “sporca” che permette allo spettatore di immergersi nelle scene d’azione chiave, di lasciarsi trasportare dal ritmo incalzante delle immagini, suggestionandosi grazie alla perfetta ricostruzione storica e alla scrittura drammaturgica – dal carattere forte ed incisivo – che porta sullo schermo due figure antitetiche ma complementari, catturate in tutta la loro tragicità e grandezza, rese ancora più incisive dalle interpretazioni solide e drammatiche dei due interpreti Dujardin- Lellouche ma anche da una serie di comprimari perfettamente a loro agio in quei panni, primo fra tutti un (quasi) irriconoscibile Benoit Magimel nei panni de Il Folle, scheggia impazzita nel fianco di Zampa.

French Connection riesce perfettamente ad aggiornare un genere molto amato dai francesi, senza però il gusto eccentrico o la genialità dei capolavori cult di Melville o Godard.

Ludovica Ottaviani
Ludovica Ottaviani
Ex bambina prodigio come Shirley Temple, col tempo si è guastata con la crescita e ha perso i boccoli biondi, sostituiti dall'immancabile pixie/ bob alternativo castano rossiccio. Ventiquattro anni, di cui una decina abbondanti passati a scrivere e ad imbrattare sudate carte. Collabora felicemente con Cinefilos.it dal 2011, facendo ciò che ama di più: parlare di cinema e assistere ai buffet delle anteprime. Passa senza sosta dal cinema, al teatro, alla narrativa. Logorroica, cinica ed ironica, continuerà a fare danni, almeno finché non si ritirerà su uno sperduto atollo della Florida a pescare aragoste, bere rum e fumare sigari come Hemingway, magari in compagnia di Michael Fassbender e Jake Gyllenhaal.

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