Gonzo Girl: recensione del film di Patricia Arquette – #RoFF18

L'esordio alla regia dell'attrice premio Oscar è stato presentato nella sezione Grand Public della Festa del Cinema di Roma

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La 18esima edizione della Festa del Cinema di Roma pullula di esordi alla regia. Tra questi troviamo anche Patricia Arquette, attrice di successo nonché premio Oscar per Boyhood di Richard Linklater nel 2015, la quale si è spostata dietro la macchina da presa per dirigere Gonzo Girl, il suo debutto ufficiale presentato nella sezione Grand Public della kermesse. La storia in cui Arquette decide di cimentarsi, e indagare, si ispira a quella di Hunter S. Thompson, giornalista e scrittore americano considerato l’inventore del Gonzo journalism, uno stile di scrittura che mescola giornalismo convenzionale, proprie impressioni e narrativa, dal quale nasce un personale punto di vista su fatti e situazioni.

 

Gonzo Girl si basa sull’omonimo libro scritto dall’autrice Cheryl Della Pietra, la quale prende a sua volta ispirazione dal suo periodo come assistente di Thompson verso la fine della sua vita. A interpretare il suo alter ego il magnetico – ed eclettico – Willem Dafoe, mentre nei panni di Della Pietra troviamo Camila Morrone, vista di recente nella miniserie Daisy Jones & The Six. La sceneggiatura del film è di Rebecca Thomas e Jessica Caldwell, ed è prodotto dalla stessa Arquette insieme a Frank Hall Green, Tom Heller e Cameron O’Reilly.

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Gonzo Girl, la trama

1992, Aspen, Colorado. Alley Russo si trasferisce da New York nel ranch di Walker Reade, scrittore di successo nonché inventore del gonzo journalism, per fargli da assistente. Il suo compito è far sì che la notte lui scriva il suo libro, su cui, come una spada di Damocle, grava una scadenza da rispettare. Ma quando arriva nella villetta, Alley entra in un mondo completamente sballato, fatto di droghe e alcool e in cui presto viene coinvolta – e tirata – per volere dello stesso Walker. Con il suo fare ammaliatore, l’uomo riesce a soggiogarla, a farla cadere in un vortice dal quale è difficile tornare a galla. Ma Alley oramai sembra totalmente dipendente da lui. Fino a quando non capisce di star assistendo allo svanire della gloria del suo eroe letterario, decidendo così di immergersi ancora di più nel suo mondo caotico per cercare di aiutarlo a finire il suo atteso lavoro.

Gonzo Girl Willem Dafoe e Camila Morrone

Dentro la vita di una Gonzo Girl

Gonzo Girl è una creatura bizzarra da qualsiasi prospettiva la si guardi. Se l’intenzione di Arquette, di primo acchito, sembrava quella di studiare l’esperienza di una ragazza che, nel nome di un sogno, sceglie di trasformarsi per soddisfare il suo mentore (l’unico che può aiutarla), dopo metà del primo atto capiamo subito in quale direzione virerà davvero il film e l’attenzione della regista: su Walker Reade (alias Thompson) e la sua sregolata vita negli ultimi anni. Willem Dafoe, grazie alla sua poliedricità, riesce ad animare una figura sotto tanti aspetti sibillina, operettistica e indecifrabile, a cui piace dare sempre spettacolo, ma che capiamo non conoscere davvero poiché oscurata tutto il tempo dal suo stesso mito, che usa come maschera. Prendendosi tutto lo spazio nella scena e mettendo al margine quella che dovrebbe essere la vera protagonista della storia, Alley.

Alley, una giovane aspirante scrittrice che per diventare tale, per arrivare in alto, deve stare al gioco che lo stesso Walker le propina. E allora via di cocaina, alcool, acidi, funghi allucinogini. Qualsiasi cosa pur di appagare l’ego smisurato del suo autore preferito, nonché ora datore di lavoro. Come stregata, Alley si lascia inebriare da una figura incandescente, immoderata, che rompe ogni inquadratura in cui è presente, fino a farsi assuefare da questa. Il corpo narrativo di Gonzo Girl, o per meglio dire le sue premesse, sembravano tutte molto buone. Anche le dinamiche esasperate che vanno creandosi all’inizio fra Alley e Walker, al limite dell’assurdo, sono divertenti e piacevoli da seguire. Peccato però che nel suo progredire, la narrazione perde la sua traiettoria e non si riprende più.

Una storia poco solida

Nel mostrarci il legame fra i due, e il mutare di lei che passa da “ragazza per bene e sobria” ad assistente sballata e ubriaca, il film si lascia andare a una certa frettolosità degli eventi che fanno sembrare il tutto non plausibile. Come fa Alley a cambiare da un momento all’altro? Perché? Sono passaggi narrativi bruschi, salti disorientanti, difficili da spiegare poiché non supportati da una sceneggiatura coerente e solida, quantomeno chiara, la quale porta di conseguenza ad allontanarsi da ciò che si ha davanti. Fino a diventare ripetitiva e noiosa. Ad aggravare la fragilità di Gonzo Girl una protagonista poco accennata e un co-protagonista forte ma mal sfruttato. Del vero Walker si conoscerà poco. Di Alley non si conoscerà mai niente. Nè il suo passato, né la sua vita al di fuori quel ranch in cui è finita.

Perché sceglie quella strada? Una domanda a cui non si riesce a trovare risposta. Nonostante il racconto si dimostri tiepido, non possiamo fare a meno, nel complesso, di apprezzare alcune soluzioni visive adottate dalla regista, soprattutto nelle scene in cui Alley è drogata. Dagli spaghetti che danzano, alle inquadrature nebulose, fino a delle sequenze d’animazione molto simpatiche e colorate, elementi che nel loro insieme strappano una risata e permettono al pubblico di vivere la stessa esperienza psichedelica della ragazza. Oltre questo, Gonzo Girl non si fa riconoscere per originalità e interesse. Ma se continuerà a vivere, sarà solo merito della bella interpretazione di Willem Dafoe.

Sommario

L'esordio alla regia di Arquette non convince a pieno, a causa di una storia che si regge su una sceneggiatura poco solida e chiara. L'unica nota vincente è William Dafoe nei panni di Walker Reade, alias Thomposn, il quale regala una bella performance attoriale in cui lo spettatore entra in contatto con il suo mondo confusionario e pschiedelico.
Valeria Maiolino
Valeria Maiolino
Classe 1996. Laureata in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza, con una tesi su Judy Garland e il cinema classico americano. Articolista su Edipress Srl, per Auto.it, InMoto.it, Corriere dello Sport e Tutto Sport. Approda su Cinefilos.it per continuare la sua carriera nel mondo del cinema e del giornalismo, dove attualmente ricopre il ruolo di redattrice. Nel 2021 pubblica il suo primo libro “Quello che mi lasci di te” e l’anno dopo esce il suo secondo romanzo con la Casa Editrice Another Coffee Stories, “Al di là del mare”.

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