holy motors 2 Holy Motors racconta la giornata di Oscar, un uomo che per lavoro cambia continuamente identità. Trasportato nei vari angoli di Parigi a bordo di una limousine-camerino dell’autista e segretaria Celine, il protagonista è ora un imprenditore e padre di famiglia, ora un modello per la motion capture, un killer, un vorace barbone guercio, un anziano morente, un suonatore.

 

Holy Motors è un lavoro enigmatico e sperimentale, orgogliosamente lontano al cinema tradizionale ma non per questo noioso o fastidiosamente aristocratico. Una performance di quasi due ore in cui il protagonista Oscar (interpretato da Dennis Lavant, attore feticcio di Leos Carax), per lavoro, cambia di continuo identità. Teatro della martellante metamorfosi è Parigi, attraversata a bordo di una limousine-camerino guidata Celine, fedele segretaria e autista di Oscar.

Holy Motors è un piacevole delirio che parla come un sogno, o come un incubo. Lo spettatore ha tutto il diritto di aspettarsi una rivelazione “razionale” che spieghi  l’enigma, ricomponga, motivi la processione parigina di Oscar. Attesa vana, perché una risposta in tal senso, dal film, non arriva. Inutile indagare sul piano della “storia”, perché la partita del significato si gioca a un diverso livello. Holy Motors è un trattatello sul cinema – come arte, come industria – sulla finzione, sulla fruizione, sul guardare. Così raffinato e puro dal mandare in tilt i tanti e troppi fan del metacinema a ogni costo, che si emozionano al primo monitor inquadrato.

Holy motorsL’esibizione della macchina cinema è chiara sin dall’incipit, un meta-monolite (e sequenza meno riuscita, perché banale, anche se affascinante): il regista Carax si risveglia in una squallida stanza d’albergo; trova in una parete una magica porta che lo conduce in una grande sala cinematografica. La luce del proiettore è abbagliante, colta in tutto il suo potere generatore. La sala è gremita, rischiarata dai lampi dello schermo, solcata da un molosso ciondolante e posticcio.

Ma Oscar, per chi lavora? Come detto, non arriva un biondo angelo della razionalità a spiegarci per quale criminosa e perversa società il protagonista agisca. Il committente è lo spettatore, la sua voglia di vedere. Di vedere morte, sesso, videogiochi, musical, addii, follie cannibali e florofaghe. Chi guarda subisce un’escursione tra generi, immagini e suoni articolata con una visionarietà tale che è davvero difficile credere che quanto scorre sullo schermo sia cosa e cinema – anche di quello che dice di sé – di questo mondo.

Obbligatorio lasciarsi trasportare da Holy Motors, grande e indomabile film.

- Pubblicità -