Un frame di Houria

Dopo l’interessante esordio registico Non conosci Papicha (2019), Monia Meddour torna a lavorare con la splendida Lyna Khoudri in Houria, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2022 e che esplora ancora una volta la condizione femminile nell’attuale Algeria, come i sogni e le speranze delle donne che abitano questa terra – incanalate in un feroce talento, per il fashion design in Papicha, per la danza in Houria – debbano inevitabilmente fare i conti con un’oppressione socio-politica fagocitante.

 

Houria: il rischio di un sogno precario

Houria (Lyna Khoudri) è una giovane ballerina che sogna di entrare nel corpo di ballo del Balletto Algerino. Insieme alle sue compagne di corso e alla mamma insegnante, sta preparando la coreografia per l’audizione che dovrebbe aprirle la strada a un futuro poderoso, quanto il mare verso cui si rivolge sempre dal terrazzo della sua palazzina, perfezionando i passi di frangenti prelevati dal Lago dei Cigni. Houria deve interpretare Odette ma, mentre balla, ha lo sguardo da Odile: fermezza e chiarezza di intenti sono due delle qualità principali che la nostra protagonista sarà chiamata a mettere in primo piano quando un imprevisto, che assume la forma del trauma, farà capire a Houria che non si balla soltanto con le ali ai piedi ma, soprattutto, con la fluidità delle mani collegate direttamente al nostro cuore.

Forse è proprio la parte più oscura di Houria, la tendenza ad accogliere su di sè l’intemperanza e la convinzione di Odile, esplicitate da un cappuccio nero, che la condurrà oltre i limiti della parte di Algeria che vorrebbe abbandonare, dove i cigni sono capre trattate miseramente, carne da macello su cui scommettere, che dipendono dalla volontà di uomini malvagiamente inscalfibili.

Il trauma diventa insegnamento

Ma come Odette parla sempre tramite le proprie ali, anche quando non ha voce e non può svelare il terribile incantesimo di cui è rimasta vittima, una volta che le scarpette da punta non avvolgeranno più i piedi di Houria, questa dovrà incanalare ogni sfumatura ritmica – che avvolge la regia e anche il montaggio del film – nella parte superiore del corpo. Scrivere con le proprie mani, stabilire un confine il più lontano possibile per chi non vuole smettere di sognare, anche quando l’occasione più importante della propria vita ci è appena scivolata tra le dita. Entrando in contatto con altre mani, altre storie da accogliere con premura, le donne di Houria cercano di sbloccare un nuovo livello di accessibilità, in cui l’insegnamento diventa viatico di accoglienza, la paura innerva la creatività e le onde vengono tracciate dalle braccia, innalzando canti di gioia e dolore nei confronti di un oceano che, in un qualche modo, si deve affrontare.

Le donne di Houria hanno conosciuto in diversa misura il trauma; nessuna ne è esente ed è proprio nella difficoltà di adattarsi a un percorso indesiderato che suggellano un patto di alleanza tersicoreo, facendo proprio un linguaggio anticonvenzionale, che dal singolo talento si estende al gruppo. La danza di Houria diventa coreografia di e per tutte queste donne, le avvolge con la fluidità delle carezze che si scambiano silenziosamente, forse incerte nei riguardi del domani, ma sempre in prima linea nel quotidiano, perchè il futuro si costruisce allenandosi.

Houria è donna

La regia di Mounia Meddour cavalca le onde di una danza inarrestabile, assecondando il tempo di recupero della sua protagonista, combinando il background professionale della Khoudri – che è stata ballerina – alla sua urgenza creativa. Da “maestra”, coordinatrice di un quadro tecnico e narrativo, Mounia Meddour diventa compagna di viaggio, si mescola alle sue donne per navigare nelle stesse acque, per rivaleggiare contro chi le vuole abbattere ma non sa che, proprio nella sopportazione, la danza diventa resilienza.

La regista consegna piccole parti di se alle donne che accompagnano Houria: è contemporaneamente madre, insegnante di una professione che diventa vita; è amica, solidale e intraprendente; è un gruppo di donne, eterogenee e allo stesso unicuum inossidabile, che parla danzando e danza vivendo. Houria è un viaggio dagli intenti chiarissimi, che trasforma il movimento vocale in una nuova idea di gineceo, in cui si urla a gran voce solo dopo aver ascoltato con fierezza la canzone del mare.

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