I figli degli altri, recensione del film di Rebecca Zlotowski

La recensione de I figli degli altri, della regista francese Rebecca Zlotowki e con Virginie Efira protagonista, in concorso a Venezia 79.

I figli degli altri (Les Enfants des autres) film 2022

Lei non ha figli, lui ha una bambina. E si innamoreranno: il nuovo film della regista francese Rebecca Zlotowski si intitola I Figli degli altri e si propone di indagare il ruolo della donna/madre da una prospettiva inedita: quella dei legami con figli che non sono nostri e le conseguenze della gestione di un rapporto del genere qualora dovesse essere reciso. Presentato in concorso a Venezia 79, il quinto film di Zlotowski vede gli attori Virginie Efira e Roschdy Zem interpretare la coppia protagonista e Callie Ferreira-Gonçalves nei panni della piccola Leila.

 

I Figli degli altri: la matrigna non è più cattiva

Rachel è una donna di quarant’anni, senza figli. Ama la sua vita: gli studenti del liceo in cui insegna, gli amici, il suo ex, le lezioni di chitarra. Quando si innamora di Ali, stringe un legame profondo anche con Leila, la figlia di quattro anni dell’uomo. Le rimbocca le coperte prima di dormire, se ne prende cura, le vuole bene come se fosse sua. Ma amare i figli degli altri è un grosso rischio.

Questa nuova esplorazione della figura femminile a cui si dedica Zlotowski nasce da una profonda esperienza personale e dal desiderio di regalare su schermo una narrazione protagonista a un personaggio da secoli rimasto al margine: la matrigna. Non sono pochi gli inciampi in corso d’opera, il pathos e la faciloneria arrivano spesso a compensare la pregnanza di un racconto per altri versi credibile e, in un certo senso, apripista.

Ciò che rimane e che va al di là di ogni limite tecnico che il film, purtroppo, dimostra, è che Rebecca Zlotowski ha voluto realizzare un film su una generazione di donne – anche per quelle che verranno – per cui la maternità è stata a lungo un’ingiunzione. Non ci sono verità assolute in questo film, ma emerge una forte ideologia, il desiderio di gridare che l’essere donna può comprendere la maternità, ma che l’esperienza di questa può essere fatta anche tramite la cura e l’ascolto che offriamo a chi ci sta intorno, che diventa famiglia senza nessuna forzatura di sorta. La sceneggiatura cerca di unire elementi della quotidianità – nostra e dei protagonisti – ad emozioni che potremmo provare, ed è nell’identificarsi come un totale “what if” che I Figli degli altri trova un’interezza narrativa, che potrebbe toccare l’emotività di molti spettatori.

I Figli degli altri film 2022
Photo © Julian Torres

Un film imperfetto, ma dal cuore percepibile

La storia d’amore ne I Figli degli altri non è solo una: è l’unione di due relazioni intrecciate a cementare il film più emotivo ed espressivo di Zlotowski. Se l’amore tra Rachel e Ali è nato da un’ardente passione, quello tra Rachel e Leila sedimenta nella tenerezza più pura: le due si avvicinano e si distaccano, ma la necessità fisica tende a riavvicinarle mentre navigano in una relazione priva dei solidi punti di riferimento della genitorialità tradizionale. Leila interroga ripetutamente il padre sulla presenza costante di Rachel, e la manciata di parole pronunciate dolcemente dalla bambina feriscono l’insegnante come se fossero schiaffi. Anche Rachel fa domande. Senza risposta, rimangono nell’aria tra i due coniugi, trasformandosi gradualmente in un ostacolo sempre più grande che fa crollare ciò che un tempo sembrava così solido.

Efira offre un’interpretazione al contempo tenue ma potente, che oscilla tra il dolore trattenuto e l’affetto più gentile. Nei panni di Rachel, i suoi occhi seguono Leila nelle stanze in cui non è invitata, con sguardi sottili che traducono l’enorme sentimento che anima questa forma contorta di solitudine. La maternità, un desiderio che non può soddisfare, si realizza attraverso l’istintiva attenzione verso gli altri, che si tratti di uno studente o della sorella minore, piccoli atti di cura che si trovano in una carezza sulla spalla o nello stringersi le mani. Anche in mezzo a un dolore impensabile, Rachel è ritratta da Efira come assolutamente empatica – caratteristica che in alcuni tratti diventa forse stucchevole – ma riesce a trasmettere la maturità emotiva che deriva dal prendere atto che alcune domande sono destinate a rimanere senza risposta.

Le ottime interpretazione de I Figli degli altri sono sfortunatamente accompagnate un tono troppo flessibile, che segue sì la prospettiva di Rachel, nostra luminare in toto, protagonista, narratrice onnisciente e donna, ma che si perde tra la comicità più sfrenata quando non sarebbe richiesta e il doloroso racconto di verità nascoste, drammatizzato fin troppo nella proposta di plurime storyline, tra cui quella della madre biologica di Leila. Tante esperienze di vita estremamente interessanti, ma forse troppe da approfondire per un solo film. L’indugiare nel passato non fa troppo bene a relazioni che devono vivere nel presente narrativo, quello delle scelte, dell’accettazione e, soprattutto, dell’educazione amichevole. Se l’anno scorso in concorso a Venezia abbiamo sperimentato l’idea brutale di maternità che Olivia Coleman aveva in The Lost Daughter di Maggie Gyllenhall, Rebecca Zlotowski si concentra sulla parte più romantica – ma non per forza meno dolorosa – di una maternità nuova, accogliente nelle sue mille sfaccettature. Un racconto non perfetto, ma di cui si apprezza sicuramente il cuore.

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