I Figli della Mezzanotte: recensione del film di Deepa Mehta

I Figli della Mezzanotte

L’adattamento cinematografico del celebre bestseller del 1981 di Salman Rushdie, I Figli della Mezzanotte, nonostante gli sforzi titanici per piegare il romanzo in sceneggiatura, si può infatti definire un’impresa riuscita solo a metà.

 

In I Figli della Mezzanotte allo scoccare della mezzanotte l’India dichiara l’Indipendenza dalla Gran Bretagna. La gente balla per strada, il cielo è illuminato a giorno dai fuochi d’artificio e in una clinica, a pochi attimi di distanza, due bambini vengono al mondo: il primo è il figlio di una poverissima cantante di strada che muore di parto, il secondo è il fortunato pargolo di una coppia agiata. Mary (Seema Biswas), l’infermiera del reparto, per dare il suo contributo simbolico alla nascita di una nuova era nella quale, idealmente, i ricchi saranno poveri e viceversa, scambia i due piccoli in culla determinandone il destino. Shiva (Siddhart), nato benestante, cresce povero e Saleem (Satya Bhabha), al contrario, si trova a vivere da re.

Le loro esistenze scorrono parallele, incrociandosi periodicamente solo durante le “Conferenze” dei Figli della Mezzanotte: incontri dove tutti i bambini nati durante la proclamazione dell’Indipendenza, esseri magici, si riuniscono attorno a Saleem per mettere alla prova i loro poteri.

Con il passare degli anni l’India è lacerata da una serie di conflitti sanguinosi: Shiva, aggressivo e combattente, diventa un eroe di guerra, mentre Saleem, pacifista, resta senza famiglia, né status. La Storia, nel suo incedere, intacca anche questo nuovo equilibrio e porta i protagonisti ad intrecciare ancora le loro vite in maniera inattesa. Peccato che, a questo punto del film, i capovolgimenti continui che hanno caratterizzato le prime due ore, fanno sperare in un finale piuttosto che in un nuovo colpo di scena.

La regista Deepa Mehta, candidata all’Oscar per Water nel 2006, ricostruisce perfettamente gli ambienti storici, facendo respirare l’aria dell’India, riempie le sue sequenze di colori, di ironia, di magia, trasmettendo lo spirito dei tempi di cui narra, cura ogni dettaglio, posizionando la macchina da presa in modo da ottenere riprese originali, ma non sa creare il pathos necessario affinché I Figli della Mezzanotte funzioni.

La voce fuoricampo del protagonista, il preludio alla sua nascita con la storia dei suoi antenati, le sequenze cantate, le digressioni sugli altri personaggi, necessariamente brevi e dunque superflue, sono tutti elementi che distolgono l’attenzione dallo scheletro della vicenda sottraendo fluidità all’insieme.

E se le parole di Rushdie possono unire realtà e magia con facilità, seguendo il filo del pensiero e dell’immaginazione, al cinema, per non creare un effetto quasi ridicolo soprattutto nelle scene più drammatiche, ci si aspetta qualcosa di più della logora formula “Abracadabra”.

I Figli della Mezzanotte arriva nelle sale dal 28 marzo.

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