I love America, recensione del film con Sophie Marceau

Da Parigi a Los Angeles ma puntando fino al Sole: Sophie Marceau è la regista Lisa nella nuova commedia di Amazon Prime Video

I love America recensione

13 anni dopo il successo di LOL, la regista francese Lisa Azuelos affida nuovamente il ruolo principale di uno dei suoi film a Sophie Marceau. Da domani disponibile su Amazon Prime Video, I Love America narra la storia di Lisa (Sophie Marceau), una cineasta cinquantenne che decide di iniziare una nuova vita negli Stati Uniti per voltare pagina dopo la morte della madre, “matrigna” che non l’ha mai veramente amata. Vuole fuggire da una Parigi che la sta soffocando e, magari, ritrovare l’amore nella soleggiata Los Angeles.

 

I love America: la California di Sophie Marceau

Nonostante la suggestività del suo titolo, I Love America non è una nuova serie di documentari patriottici di Fox News. Vuole infatti essere un film sul lutto, sulle mancanze genitoriali, sul desiderio e sulla sessualità femminile dopo i 50 anni ma, soprattutto, è un film su Lisa Azuelos, regista cinquantenne che ha perso la madre nel 2019 e che sta girando un film in America per Amazon Prime Video. Una commedia romantica francese accuratamente prevedibile, infestata da cliché e, proprio per questo, immediatamente soddisfacente: il tipo di pura fantasia di realizzazione dei desideri messa a punto così tante volte dal cinema, ma qui eseguita con tocco elegantemente soave, che si prefigge di realizzare tutto ciò che si mette in testa.

Quella di I love America è una storia che si afferma quasi come sfida esistente in un mondo dorato completamente scollegato dalla realtà. Lisa è presumibilmente una regista cinematografica (che non vediamo mai dirigere), e, al di là di questa affermazione, non c’è una vera spiegazione su come possa permettersi di volare tra la sua benestante casa di famiglia a Parigi e la sua lussuosa, soleggiata e ariosa casa in affitto a Los Angeles. La carriera del suo personaggio sembra esistere solo per permettere a Lisa di lavorare a una sceneggiatura sulla sua stessa vita, ottimizzando giustificazioni a profusione per aprire lo spazio a molteplici flashback emotivamente strumentalizzati (luci soffuse, musica soft al pianoforte), mentre esplora il suo travagliato rapporto con la madre.

Se Kenneth Branagh è stato recentemente lodato per la sua capacità di dirigere “da dietro le quinte” la propria storia in Belfast, il suo ultimo film autobiografico, Lisa Azuelos fa esattamente il contrario con I Love America, mettendosi sistematicamente in mezzo alla narrazione e arrivando perfino a sovrastare il suo soggetto.

I love America o I love Myself?

Poteva essere il punto di partenza di una satira, ma I Love America è un film così disinvoltamente beffardo che non si rende nemmeno conto che il suo stesso immaginario sta interferendo con la narrazione. Ne è testimone un’intima scena di flashback in cui Lisa, da bambina, prova un paio di scarpe col tacco appartenenti a sua madre, troppo larghe perché i suoi piedini di bimba possano riempirle; ma non è il ricordo emotivo ad essere soggetto dell’inquadratura, bensì l’enorme logo YSL, ripreso in primo piano, a riprova di come, anche negli spazi più personali della sua memoria, Lisa debba sempre ricordarsi da dove viene.

Oltre al suo onanismo frenetico e perpetuato, I Love America si distingue per il crescente senso di abiezione che il suo universo borghese suscita negli spettatori: rimaniamo ammutoliti dall’accostamento tra la procrastinazione di Sophie Marceau e le sue avventure sessuali, volte a intensificare sullo schermo i tratti esteriori della ricchezza. Ricchi o poveri, il film dovrebbe dirci, perdere un genitore è una sfida difficile e crescere in una casa senza amore lo è altrettanto, ma l’esperienza empatica è seriamente ostacolata dal mondo di I Love America, dove la cosa peggiore che può accadere in una giornata di routine è Nestor il parcheggiatore che rompe un fanale della Ferrari.

Assistiamo continuamente al personaggio di Sophie Marceau lamentarsi di Parigi, degli scioperi, della pioggia, del cattivo umore della gente, in contrasto con l’essere andata a vivere in una villa con piscina a Los Angeles. Ma non solo, il riflesso narcisistico di questa sceneggiatura deve continuamente emergere e per questo, per poter essere veramente felici, ci viene suggerito un viaggio di sola andata direttamente al Sole: ogni preoccupazione svanirà e lì farà sicuramente più caldo che nell’ovest di Parigi.

Come si fa a riprendere gli affari quando si è stati fuori dal gioco per un po’? L’età, il genere, la percezione di sé, le differenze culturali e il mondo moderno sono tutti serbatoi di comicità da cui il film attinge. La scelta giudiziosa di non rendere l’evocazione del passato di Lisa più pesante del necessario perfeziona l’equilibrio essenziale, e semplicistico, alla Elite o Emily in Paris di I love America: Love is in the air di John Paul Young o Bad girls di Donna Summer, il potere della discoteca costituirà gli ingredienti finali della ricetta inarrestabile, il cocktail perfetto di una protagonista che ama se stessa molto più che l’America.

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RASSEGNA PANORAMICA
Voto di Agnese Albertini
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