I nostri ragazzi: recensione del film di Ivano De Matteo

Ivano De Matteo torna, dopo Gli Equilibristi, con una libera trasposizione del romanzo La cena di Herman Koch, con un linguaggio e un’estetica più maturi – da notare il lavoro sull’immagine e la valenza espressiva degli ambienti. Dimostra di saper controllare una materia narrativa complessa e un cast corale, di saper sorprendere e di non temere giudizi. Ma nel far ciò, perde un po’ d’originalità e della verace compartecipazione che aveva reso vibrante il suo precedente lavoro.

 

Ne I nostri ragazzi Massimo (Alessandro Gassmann) e Paolo (Luigi Lo Cascio) sono fratelli: un avvocato e un chirurgo molto diversi tra loro. Uno vincente, di successo, che sa come va il mondo e vi si adegua. L’altro impegnato a salvare vite di bambini, cercando di fare sempre la cosa giusta. S’incontrano una volta al mese, assieme alle mogli Sofia (Barbora Bobulova) e Clara (Giovanna Mezzogiorno), che si detestano, per una fastidiosa ma irrinunciabile cena di rito. Quando le due coppie scoprono che i figli hanno fatto uno grosso sbaglio, entrano in crisi. Cosa faranno? Proteggeranno i ragazzi dalle conseguenze del loro gesto? A quale prezzo?

Se Il capitale umano di Virzì ci ha mostrato l’Italia attraverso gli scheletri nell’armadio, la pochezza e l’inadeguatezza, anche affettiva, della ricca borghesia del nord, visti sfociare nei comportamenti fuori controllo dei suoi giovani rampolli, I nostri ragazzi – vincitore del Label Europa Cinemas al miglior film europeo delle Giornate degli Autori, a Venezia – fa in parte qualcosa di simile, ambientando però il tutto nella Roma alto borghese. I protagonisti sono adolescenti senza punti di riferimento (Rosabell Laurenti Sellers e Jacopo Olmo Antinori), con genitori iperprotettivi non in grado di educarli, né di comunicare con loro, ma solo di tenerli a riparo da responsabilità e frustrazioni.

Adolescenti che covano rabbia e noia; ma anche adulti in difficoltà, che non conoscono davvero se stessi, né chi gli è vicino. Un universo di vuoti e mancanze che una lussuosa quotidianità non può colmare. E se i vuoti diventano abissi, generano mostri. Il film fa emergere abilmente il volto nascosto di certi ragazzi e adulti di oggi, che non si ha il coraggio di guardare: ipocrita nel migliore dei casi, rabbioso e violento, agghiacciante, nel peggiore. Mostra il perturbante nascosto sotto al tappeto, senza paura di colpire duramente. Le singole vicende umane diventano cifra di una società coi nervi a fior di pelle, il cui spettacolo quotidiano è diventato abitudine.

La sceneggiatura, del regista con Valentina Ferlan, costruisce personaggi che si svelano gradatamente nelle mille sfaccettature della quotidianità- anche se il cambiamento di Paolo appare poco plausibile – sorretti da interpretazioni di livello. Una svolta spiazzante conduce a un finale aperto; i dialoghi, acuti e schietti, non rinunciano a un tocco d’ironia pur nel dramma.

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