Il Faraone, il Selvaggio e la Principessa: recensione del film di Michel Ocelot

Il nuovo progetto dell'animatore francese esce al cinema il 14 dicembre

Il Faraone, il Selvaggio e la Principessa

Il Faraone, il Selvaggio e la Principessa, nuovo film d’animazione del regista, sceneggiatore e animatore francese Michel Ocelot (Dilili a Parigi), sta per arrivare nelle nostre sale. Presentato in occasione della 46esima edizione del Festival internazionale del film d’animazione di Annecy il 14 giugno 2022 e distribuito in Francia a partire dal 19 ottobre 2022, la pellicola sarà rilasciata in Italia il prossimo 14 dicembre.

Prodotto, almeno in parte, con il contributo del Museo del Louvre e proiettato alla 17esima Festa del Cinema di Roma nella sezione Alice nella Città, il film giunge dunque nei cinema nostrani con circa dodici mesi di ritardo. E riporta su grande schermo le avventure animate di un cineasta che, nel corso degli ultimi 25 anni, ha saputo dare vita a un inconfondibile stile grafico e narrativo da mille e una notte.

Il Faraone, il Selvaggio e la Principessa: la trama

A seguito del racconto quasi “decameroniano” di Principi e Principesse e della (per ora) trilogia dedicata alle vicende di Kirikù, conclusasi ormai dieci anni fa, Ocelot torna a frammentare il proprio minutaggio; e affida a una stravagante narratrice, a colloquio con il proprio pubblico, tre fiabe dal consueto sapore esotico. Un viaggio attraverso i secoli guidato dalle forze di amore, destino e desiderio.

Nella terra di Kush, regno del Sudan di 3000 anni fa, il giovane Re Tanwekamani è innamorato della principessa Nasalsa, ma la madre di lei, la regina, ritiene che il solo faraone sia degno di chiederne la mano. Tanwekamani decide allora di risalire il Nilo e conquistare l’Egitto. Un’impresa che esige forza e saggezza; qualità necessarie per tornare in patria trionfante.

Un castello nell’Alvernia medievale è invece la cornice del secondo racconto, là dove il figlio di un Signore, costantemente sgridato dal padre, decide un giorno di rubare le chiavi del carceriere per liberare un prigioniero. Condannato a morte per tradimento, ma risparmiato dai suoi esecutori e abbandonato nel bosco, il ragazzo cresce lontano dal castello. Fino a quando le scorribande del “Bel Selvaggio”, divenuto eroe popolare leggendario, si intrecciano nuovamente con gli affari di corte.

A fare da sfondo alla terza e ultima storia è infine l’Oriente del XVIII secolo, terra d’incontro tra la Principessa delle rose, dama bellissima e ambita, e il cosiddetto Principe delle frittelle, costretto a fuggire dal proprio paese a causa di un gruppo di assassini e divenuto venditore in una città vicina sotto mentite spoglie. La bontà delle leccornie preparate dal giovane fornisce ai due ragazzi l’occasione di condividere alcuni momenti insieme, sebbene il sultano e le circostanze lottino strenuamente per separarli.

Un grande libro di racconti

Visionare un lungometraggio di Michel Ocelot equivale insomma, il più delle volte, a immergersi in un grande libro di racconti; a perdersi nei meandri favolistici di fiabe semplici, sovente slegate, unite però da un fil rouge tematico nonché stilistico. Ragion per cui Il Faraone, il Selvaggio e la Principessa assume oggi, almeno in apparenza, le sembianze di una prosecuzione quasi prestabilita dell’opera dell’autore; capitolo nuovo, e innocuamente inserito, di una narrazione ormai settata e priva di sorprese.

Dopotutto queste tre nuove storie del regista – ancora storie di principi e principesse – si integrano perfettamente all’interno del percorso artistico dell’animatore francese. Sono favole “moraleggianti” e conciliatorie, pensate per un pubblico generalmente infantile; fiabe della buonanotte che raccontano d’amore, di coraggio e generosità; fiabe che pescano da stilemi riconoscibili e ritornanti, provenienti da un sottobosco popolare che nei decenni ha necessariamente ispirato differenti autori e case di produzione. Fiabe che dunque, inevitabilmente, risentono di echi facilmente individuabili, per lo più riconducibili a tradizioni culturali a lungo tramandate e mescolatesi l’una con l’altra.

Resistenza stilizzata

Eppure, sospesa nei “silenzi” tra una storia e la successiva, chirurgicamente dosata negli attimi di respiro della narrazione, la cornice de Il Faraone, il Selvaggio e la Principessa è forse il suo elemento più significativo. Richiamo classicheggiante di una struttura tipica e al contempo lettura estremamente lucida del presente audiovisivo dominato dalla dimensione piattaforma; lì dove le più disparate richieste degli spettatori sagomati nei primi istanti di pellicola paiono poter configurare la narratrice come un ideale e servizievole algoritmo, chiamato a soddisfare qualsiasi richiesta del proprio pubblico.

E chissà che, a fronte di questo variegato melting pot di input, la scelta di Ocelot di distribuire i diversi spunti con ordine senza assommarli in un unico confuso agglomerato dai mille ingredienti, non sia allora da interpretare come un atto di resistenza alla dittatura del tutto, subito e tutto insieme. L’ennesimo silenzioso atto di forza di un regista che nell’epoca della tecno-rivoluzione oppone ancora l’ombra stilizzata delle proprie silhouette. Alla ricerca della meraviglia.