Il labirinto del silenzio recensione del film di Giulio Ricciarelli

Germania, 1958. Il giovane ed inesperto pubblico ministero Johann Radmann (Alexander Felhing) viene incaricato dal Pubblico Ministero Generale, Fritz Bauer (Gert Voss), di condurre una serie di indagini con una finalità del tutto particolare: portare sotto processo tutte le SS che hanno lavorato ad Auschwitz e che nel campo si sono rese responsabili di crimini accertati. Il giovane ed idealista Radmann si inoltrerà così in un labirinto fatto di silenzi, ostruzionismo, negazionismo e diffidenza perchè la Germania del miracolo economico non ha nessuna voglia di riaprire le ferite del recente quanto drammatico passato. Con tenacia e volontà Radmann arriverà sino in fondo ma ciò che scoprirà lungo il cammino metterà in discussione tutto il suo mondo, anche nella sfera più intima.

Il labirinto del silenzio è un film di produzione tedesca, con cast tutto tedesco, ma diretto da un regista italiano, Giulio Ricciarelli, pluripremiato autore di diversi cortometraggi. Ricciarelli, che del film è anche co-produttore e co-sceneggiatore insieme a Elisabeth Bartel, colei da cui è partito il progetto, dirige con grande bravura un film intenso e coinvolgente il quale intreccia una storia realmente accaduta con alcuni elementi di fiction. Il processo ai 20 carnefici di Auschwitz, di cui poi 17 condannati per omicidio e crimini di guerra, è storia così come è storia il lungo e difficilissimo lavoro che l’equipe del Procuratore Generale Fritz Bauer dovette affrontare per portare alla sbarra gli imputati.Il labirinto del silenzio  poster Il protagonista invece, Johann Radmann, interpretato dal bravissimo e convincente Alexander Felhing, è personaggio di fantasia ma che conferisce alla sceneggiatura quel lato umano e intimista che completa un film mai pedante o esclusivamente cronicistico. Reidmann ed i suoi tormenti interiori, il suo stupore sempre crescente nel realizzare quanto la società civile tedesca fosse coinvolta nelle atrocità del nazismo, sono esemplificative di una nuova generazione di tedeschi che si decide a chiedere conto ai propri padri delle loro responsabilità storiche. La Germania della fine degli anni ’50, gli anni del boom economico e dallo sguardo rivolto al futuro, non ha per nulla voglia di voltarsi ancora indietro ed affrontare il proprio terribile passato, nemmeno troppo lontano. Così Reidmann dovrà affrontare mille difficoltà frapposte fra lui e le sue indagini che un intera società, un intero sistema, vedono con antipatia. Solo il Procuratore Bauer, interpretato da uno straordinario Gert Voss, icona del teatro tedesco, lo spinge a perseverare e a proseguire nel suo lavoro; non sono i gerarchi che si vogliono perseguire, per loro c’è stata Norimeberga, ora tocca agli insegnati, ai falegnami o ai panettieri che meno di vent’anni prima indossavano le lugubri e nere divise delle SS.

Il labirinto del silenzio è interpretato da ottimi attori, basato su una sceneggiatura solida e scorrevole e ben diretto, un film che ci permette di saperne di più su una pagina di storia non troppo conosciuta e che l’ottimo cinema tedesco di questi ultimi anni, ha avuto l’apprezzabilissima intenzione di voler svelare.

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