Il Rito: recensione del film con Anthony Hopkins

Il rito

Il Rito è un horror nel mondo degli esorcisti che uscirà in Italia l’11 Marzo. La storia è ispirata alle esperienze reali (per il Vaticano e per chi ci crede) raccontate nel libro, dall’omonimo titolo, di Matt Baglio.

 

Il protagonista, Michael Kovak (Colin O’Donoghue) è un seminarista combattuto tra scetticismo e desiderio di fede. Viene mandato a Roma per formarsi come esorcista e qui conosce Padre Lucas (Anthony Hopkins) che lo porterà a tastare con mano la presenza del maligno. E’ difficile evitare, durante la visione di Il Rito, che il pensiero non vada a The Exorcist (L’Esorcista) di William Friedkin, il suo avo famoso del ’73, e alla sua stirpe fatta di prequel, sequel e versioni integrali fatte per rinnovarne i fasti con le generazioni future di giovani spettatori desiderosi di volti satanici e corpi che si contraggono. Il regista Mikael Håfström (suo, 1408, horror diretto nel 2007)  si confronta quindi con un film di genere i cui stilemi sono ormai ben marcati. Sembra saperlo e in alcuni momenti si concede opportuni spunti ironici che hanno anche il pregio di cercare costruzioni di climax attraverso vie leggermente più insolite.

Inevitabile però l’ortodossia ai più consolidati cliché soprattutto nei momenti risolutivi della fine, complice una sceneggiatura per nulla originale fondata su un esile messaggio di fede (che molto ricorda il Mel Gibson di Signs, diretto da M. Night Shyamalan nel 2002 ). Il tutto è scandito da una schematica strutturazione didascalica. Ortodossia al genere e ortodossia al contenuto, in Il Rito,  sono freni all’immedesimazione con il paranormale (dimensione in cui un mondo trasfigurato aiuta molto) ancor più per un pubblico italiano: l’ambientazione romana (esotica, forse, per gli americani) con annesse comparse che si esprimono in idioma romanesco (questo nella versione con audio originale; starà al lavoro di doppiaggio scegliere la via da seguire) strappano sorrisi. Del resto spesso gli horror dividono la sala tra quelli che sorridono e quelli che si coprono gli occhi. Un altro buon motivo per vedere Il Rito in lingua originale è l’interpretazione di Anthony Hopkins nel ruolo di Padre Lucas. Il suo personaggio è interessante. Ha un animo giocoso e ironico che usa come arma contro il Male con cui si confronta.

Molti dei meriti sono però proprio di Hopkins (scherzoso, cupo, demoniaco) che riesce a dare spessore e umanità al suo ruolo e a salvare le troppe banalità di Il Rito. Padre Lucas poteva essere l’ennesimo elemento anonimo e invece, nell’interpretazione di Hopkins, risolleva le infantili argomentazioni dello sceneggiatore  Michael Petroni che si confronta, in modo superficiale, con il controverso legame tra bene e male. Per fortuna l’Hannibal Lecter per antonomasia con le sfumature del male ha già avuto confidenza proprio con un altro cult capostipite di seguiti: Il silenzio degli innocenti (Johnatan Demme, 1991 ).

Colin O’Donoghue (Proof, 2005) nel ruolo del protagonista è, al contrario, chiuso in una scarsa espressività. Il personaggio di Michael Kovac risulta piatto e privo di sfaccettature anche nella sua crisi mistica molto schematizzata. Alice Braga (Predators , 2010) ha il ruolo di Angelina, la giornalista scettica che si rispecchia nei dubbi di Michael. Risulta altrettanto anonima, ma nel suo caso molto più per demeriti della sceneggiatura che la relega a personaggio puramente accessorio. Di certo Il Rito non è un film memorabile ( come spesso accade per i film di genere ) ma un buon Hopkins e l’ortodossia al genere lo rendono adatto ad una serata poco impegnata tra amici, magari divisi tra chi si fa qualche risata e chi si copre gli occhi.

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