In the Hand of Dante: recensione del film di Julian Schnabel – Venezia 82

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Julian Schnabel torna al Lido con In the Hand of Dante, presentato fuori concorso a Venezia 82, portando con sé un film che ha già acceso discussioni e ironie. L’artista-regista, che nel 2018 aveva convinto la critica con At Eternity’s Gate, la sua rilettura della vita di Van Gogh interpretata da Willem Dafoe, sceglie questa volta di misurarsi con una sfida ancora più ambiziosa: portare al cinema Dante Alighieri. Non la sua opera in sé, ma un intreccio ardito tra la vicenda umana del poeta trecentesco e una narrazione contemporanea basata sul romanzo di Nick Tosches.

Il risultato è una sorta di lettera d’amore confusa e sghemba al sommo poeta. Un film che alterna sequenze grottesche e involontariamente comiche a momenti di alto lirismo visivo, senza però trovare una vera compattezza narrativa. È difficile stabilire se In the Hand of Dante sia un pasticcio o un esperimento radicale: probabilmente entrambe le cose, e proprio questa ambiguità ne fa un oggetto curioso e, a tratti, persino affascinante.

In the Hand of Dante: due epoche, due film

La struttura narrativa procede su due binari paralleli. Da una parte, un segmento in costume, girato con colori accesi e un gusto volutamente pacchiano, che ricostruisce episodi della vita di Dante: il conflitto con Bonifacio VIII, il matrimonio con Gemma Donati, la distanza dall’amata Beatrice, le figure femminili che avrebbero ispirato la Commedia. Questo blocco, apparentemente il più “alto”, risulta però spesso artificioso, come una teatralità che non trova mai equilibrio.

(Credits Alex Majoli)

In parallelo, Schnabel mette in scena la vicenda contemporanea di Nick Tosches, scrittore che entra in possesso di un presunto manoscritto originale della Divina Commedia. Tentato di venderlo, Tosches si ritrova in un percorso che lo porta a contatto con la mafia siciliana, un assassino imprevedibile di nome Louie, e un’umanità di malviventi senza scrupoli. Questo secondo filone è più movimentato, a tratti persino divertente nella sua sfrontatezza pulp, anche se non meno confuso.

Il regista giustifica questo sdoppiamento con la sua visione filosofica del tempo: tutto accade simultaneamente, e Dante stesso può reincarnarsi in uno scrittore borderline del XXI secolo. L’idea, sulla carta, è suggestiva; sullo schermo, diventa una giostra narrativa che spesso gira a vuoto, ma non senza qualche lampo visivo di potenza.

Ambizione, eccessi e momenti felici

Ciò che salva In the Hand of Dante dal naufragio totale è proprio la mano visiva di Schnabel. L’artista trasforma la macchina da presa in un pennello: colori saturi, inquadrature ardite, improvvisi slanci di poesia. Ci sono momenti in cui il film sembra davvero incarnare l’aspirazione del regista a “diventare la poesia”, come lui stesso dichiara. Ma a queste folgorazioni fanno da contraltare cadute clamorose, sequenze che scivolano nel ridicolo involontario, e un tono che cambia continuamente registro senza preavviso.

(Credits Alex Majoli)

Schnabel non è nuovo a questo tipo di oscillazioni, ma se con la pittura – nel suo Van Gogh – aveva trovato una corrispondenza tra forma e contenuto, con la letteratura il discorso funziona meno. La Commedia, con la sua struttura complessa e stratificata, richiede una mano più rigorosa; il film invece si disperde, incapace di domare la materia che vuole celebrare.

Eppure, nonostante i difetti, In the Hand of Dante resta un’opera di ricerca. Nella sua sgraziata ambizione, rappresenta un tentativo radicale di far dialogare cinema e letteratura. È un film che divide, che provoca ilarità e fastidio, ma che regala anche momenti imprevisti di grazia. Non sorprende che sia stato accolto con ironia e sarcasmo, ma chi ama Dante troverà forse sprazzi di emozione autentica, persino nelle sue goffaggini.

Un esperimento imperfetto ma con un suo fascino

In the Hand of Dante è un’opera che non lascia indifferenti, che incarna fino in fondo lo spirito di una Mostra del Cinema come luogo di sperimentazione.

Julian Schnabel, con i suoi eccessi e le sue ingenuità, consegna al pubblico un film che non funziona come racconto compiuto, ma che resta come gesto artistico. Un’opera che cerca di toccare la poesia e, pur non riuscendoci del tutto, ci ricorda che il cinema, come la Commedia, è anche fatto di tentativi imperfetti e di fallimenti luminosi.

In the Hand of Dante
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Sommario

L’idea, sulla carta, è suggestiva; sullo schermo, diventa una giostra narrativa che spesso gira a vuoto.

Chiara Guida
Chiara Guida
Laureata in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è una gionalista e si occupa di critica cinematografica. Co-fondatrice di Cinefilos.it, lavora come direttore della testata da quando è stata fondata, nel 2010. Dal 2017, data di pubblicazione del suo primo libro, è autrice di saggi critici sul cinema, attività che coniuga al lavoro al giornale.

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