Interruption, recensione del film di Yorgos Zois

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Presentato nella sezione Orizzonti della 72esima edizione del Festival di Venezia, Interruption è il primo lungometraggio del greco Yorgos Zois. Vincitore in patria del premio come miglior esordio, il film è ispirato da un evento realmente accaduto nel 2002, quando cinquanta ceceni armati presero in ostaggio 850 spettatori nel Teatro Dubrovka di Mosca, con il pubblicò che, affascinato, pensò facesse tutto parte della rappresentazione a cui stavano assistendo.

 

Nel film vediamo svolgersi in un teatro di Atene un adattamento teatrale postmoderno di una tragedia greca classica, l’Orestea. All’improvviso le luci si accendono, e un gruppo di giovani vestiti di nero sale sul palco e invitano il pubblico a raggiungerli e a partecipare alla rappresentazione, dando vita ad un gioco del quale pochi sembrano rendersi conto.

Interruption è un vero e proprio film d’atmosfera, che ricerca una claustrofobia e un’inquietudine crescenti che la prima ora di film riesce perfettamente a trasmettere. Si viene letteralmente rapiti dalla vicenda, presi come ostaggi proprio come accade ai protagonisti, e si entra sempre più in un vortice di nervosismo che ci costringe a tenere alta l’attenzione cercando di prevedere quanto può accadere da un momento all’altro. Le pochissime informazioni che ci vengono fornite, l’ambientazione unica e cupa del teatro, i silenzi e le luci al neon sono stratagemmi che il regista, anche sceneggiatore, usa per farci sentire sempre più vittime della sua opera, che gioca con noi allo stesso modo di come vediamo i protagonisti interagire tra loro.

Quanto costruito nella prima parte di film, viene tuttavia a perdersi nella seconda, dove l’atmosfera assume nuove forme. Una volta raggiunto il climax di metà film, questo sembra poi perdere molta della sua attrattiva, affidandosi a soluzioni criptiche e ad un linguaggio filmico che allontanano lo spettatore dal rapporto prima stabilito.

Ciò non toglie comunque che l’ambizioso esordio di Zois lo pone sotto un riflettore, indicandolo come uno dei nuovi cineasti europei da tenere d’occhio per il futuro. Il suo giocare con elementi meta teatrali e meta cinematografici dà vita ad un linguaggio innovativo, attraente, che conquista con l’essenzialità. Il grande merito del regista è quello di riflettere in modo intelligente sui concetti di realtà e finzione, ponendo nell’ambiguità non solo i suoi protagonisti ma anche gli spettatori del film. Diviene realmente difficile stabilire cosa sia reale e cosa no, quanto di ciò che vediamo accadere sia o meno previsto. È questo un film sull’atto del vedere, che si interroga a più livelli sul significato oggi del ruolo di spettatore e ci porta a ricercare una consapevolezza di ciò che accade intorno a noi.

Parlandoci su numerosi piani di lettura il regista rimane talvolta isolato nella sua ricerca, ma quando decide di coinvolgere in questa anche il pubblico, è allora che raggiunge i livelli più alti, sia nelle riflessioni che spinge a fare sia a livello di messa in scena cinematografica, ottenendo il risultato di rimanere a lungo a tormentare la mente dello spettatore.

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RASSEGNA PANORAMICA
Gianmaria Cataldo
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Gianmaria Cataldo
Laureato in Storia e Critica del Cinema alla Sapienza di Roma, è un giornalista pubblicista iscritto all'albo dal 2018. Da quello stesso anno è critico cinematografico per Cinefilos.it, frequentando i principali festival cinematografici nazionali e internazionali. Parallelamente al lavoro per il giornale, scrive saggi critici e approfondimenti sul cinema.
interruptionParlandoci su numerosi piani di lettura il regista rimane talvolta isolato nella sua ricerca, ma quando decide di coinvolgere in questa anche il pubblico, è allora che raggiunge i livelli più alti, sia nelle riflessioni che spinge a fare sia a livello di messa in scena cinematografica, ottenendo il risultato di rimanere a lungo a tormentare la mente dello spettatore.