Festa di roma 2016: Into the Inferno recensione del film di Werner Herzog

Dopo tanti anni, quasi a voler aggiornare un discorso intrapreso da una vita, Werner Herzog torna a mettere i vulcani al centro della sua narrazione con Into the Inferno. Lo fa con la sua vena e la sua potenza, con la sua modestia e sfrontatezza, regalandoci immagini che tolgono il fiato e offrendo spunti a volti impensabili. Non solo richiama alcuni dei suoi lavori precedenti, ma ne utilizza alcune sequenze come materiale di repertorio. Riaffiorano così, tra nuove inquadrature di rara potenza, quelle di La Soufrière del 1977, e lui stesso si rende parte protagonista del gioco cinematografico, entrando e uscendo da immagini e narrazioni, come fosse una sorta di David Attenborough (La vita sulla terra serie TV BBC)  anarchico, che prende gli spunti che gli vengono offerti dalla linea narrativa di base per spostarsi disinvoltamente in altri territori.

 

Ecco quindi il rapporto tra vulcano e uomo, tra uomo e divinità, tra divinità e potere, tra bene e male. Herzog parte da uno dei tre vulcani nei quali è possibile vedere direttamente il magma in ebollizione fino ad arrivare ad un vulcano inattivo da mille anni in Corea del Nord e a raccontare come il un dittatore si sia potuto servire di tale elemento naturale per legittimare e rafforzare il potere.Into the Inferno

Il viaggio di Herzog è vastissimo, dall’Islanda alle Filippine, dall’Etiopia all’Arcipelago di Vanuatu, alla ricerca di vulcani e di uomini che hanno costruito miti, divinità, religioni, per giustificare, spiegare e legittimare la forza incontrollabile della natura. Ma come afferma lo stesso regista  “I vulcani se ne fregano di quello che stiamo facendo qui”.  E a sottolineare proprio questo concetto inserisce nel film le riprese del flusso piroclastico che uccise due vulcanologi francesi in Giappone. Lo fa dopo averli mostrati a lungo fare gli spavaldi con fiumi di lava e piogge di lapilli, in una sorta di delirio di onnipotenza che di lì a poco li avrebbe portati incoscientemente alla morte.

Ma Into the Inferno non è un film solo sui vulcani, ma sui vulcanologi e in particolare uno di loro: Clive Oppenheimer. Un personaggio intrigante e assai affascinante, bello e maledetto, di indole romantica e con una folle affinità elettiva con Werner Herzog. I due sono amici dai tempi di  una vecchia collaborazione e si respira in ogni dialogo, in ogni immagine, un intesa rara e un piglio che solo i sognatori come loro sanno far brillare. Insieme partono alla ricerca di altri loro simili, sparsi ai quattro angoli del pianeta, impegnati in ricerche che sembrerebbero veramente essere state inventate per un film di fantasia. Su tutti merita di essere citato l’antropologo cacciatore di fossili in Africa, somigliante in maniera inquietante all’attore Ron Perlman e commediante nato, tanto da riuscire a passare con ironia e disinvoltura dalle origini dell’uomo ai casinò di Las vegas.

Inutile dire che la regia di Werner Herzog è come sempre egregia, solenne, rispettosa. La costruzione della narrazione scorre come un orologio di precisione, senza mai cadere nel manierismo e donando momenti di grande cinema.

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