
Israele, 1995: l’anno delle
possibilità. Shirel Amitaï firma la regia di un
film che, attraverso una comune storia familiare narra di un’epoca
di limbo, in cui l’imminente pace viene uccisa insieme al ministro
Rabin. La Storia con la S maiuscola si fonde con la storia di tre
sorelle: metà israeliane e metà francesi, Darel (Yaël
Abecassis), Calì (Géraldine Nakache) e
Asia (Judith Chemla) si riuniscono nella
loro casa di Atlit, dove solevano passare le estati, per procedere
alla vendita dell’immobile.
Sviluppato per intero nello spazio della casa e del suo cortile, La casa delle estati lontane si serve di immagini di archivio per contestualizzare il periodo in cui si svolge la vicenda. La dialettica che si instaura tra le due tipologie di linguaggi permette di creare un ponte tra le due storie, che riescono a essere percepite chiaramente dallo spettatore come parallele e riflettenti l’una dell’altra. Il tutto è movimentato dall’elemento fantastico che viene ben utilizzato per mettere materialmente e visivamente in scena il bagaglio di memorie, affetti e desideri che le protagoniste si portano dietro.
Attraverso le tre sorelle,
rappresentanti di tre diverse stagioni della vita, assistiamo a un
viaggio che ha come luoghi la casa e il suo giardino e che conduce
alla definizione di un’identità che, sebbene si tenti di sradicare
in tutti i modi, riemerge con prepotenza senza dare occasione
alcuna di essere soffocata. Le protagoniste sono, ognuna a suo
modo, perse e spaesate: la maggiore, annegata nelle responsabilità,
non permette a se stessa la felicità; quella di mezzo non riesce a
sposare completamente le sue origini, che tenta di sradicare
continuamente, come le piante del giardino di cui si occupa; infine
la più giovane, smarrita nel senso più ampio e pieno della
parola.
In quello che si può tranquillamente definire un film d’interni, la forza sta, naturalmente, nei personaggi, che in questo caso sono ben scritti e caratterizzati grazie anche al lavoro puntuale dei costumisti, Laurence Struz (Francia) & Ofir Hazan (Israele) e alla forte intesa tra le attrici protagoniste. Tuttavia il ritmo del film non risulta molto costante, con una prima parte più debole che soffre di una mancanza di indizi che indichino allo spettatore ciò che si nasconde dietro quella che sembrerebbe una banalissima vicenda familiare. È dunque in un secondo momento che il film si rivela davvero interessante nell’operazione che fa, nell’evidenziare come una situazione esterna influenzi irrimediabilmente anche chi non ne prende parte attivamente, ma che, per casuale atto di nascita, ci cammina e ci vive dentro.
In sala a partire dal 16 giugno, il film dell’Amitaï ha il merito, non scontato, di puntare il riflettore su un’epoca di possibilità e sul coraggio di restare attaccati alla propria identità nonostante le oggettive difficoltà.