Per il suo secondo lungometraggio Olivier Casas, autore dell’opprimente Baby Phone (2017) racconta la storia, ispirata a fatti reali, di due fratellastri abbandonati dalla madre che hanno vissuto sette anni in natura, come molti “bambini perduti” dopo la Seconda Guerra Mondiale. Nello specifico, La storia di Patrice e Michel, ora nelle sale italiane e con protagonisti Mathieu Kassovitz e Yvan Attal, si concentra sul loro rifugio nelle foreste della Charente-Maritime dal 1948 e il loro ritrovo in età adulta nelle foreste del Québec.
La Storia Di Patrice e Michel: stato di natura
Nel 1948, alla fine di un campo estivo, Michel e Patrice, rispettivamente di 5 e 7 anni, aspettano la madre, che però non tornerà mai a prenderli. I due bambini vengono accolti da una famiglia borghese poco affettuosa, che spera di liberarsi presto di loro. Una mattina, i fratelli trovano uno dei loro ospiti impiccato e cercano subito di sganciarlo dal soffitto. Davanti alla pozza di sangue che si allarga sotto il corpo agonizzante, sono convinti di averlo ucciso e scappano nella foresta.
Quella che potrebbe sembrare una fuga di poche ore si trasforma in una latitanza di sette anni. Per tutto questo tempo, i due fratelli si nascondono per paura di essere scoperti e mandati in prigione; sopravvivono cacciando, pescando, costruendo rifugi e scaldandosi accanto al fuoco, sviluppando un’abilità di sopravvivenza che suscita ammirazione. In questo periodo si consolida tra loro un legame indissolubile. Se non ci fosse la dicitura “ispirato a una storia vera” all’inizio di La storia di Patrice e Michel, la trama sembrerebbe del tutto incredibile: eppure, è la storia reale, solo leggermente romanzata, di Patrice e Michel de Robert, quest’ultimo ancora in vita.
Dalle origini straordinarie all'”ingresso nella prigione”
La storia di Patrice e Michel segue l’incredibile destino di due fratelli segnati da un soggiorno di diversi anni nella foresta quando erano bambini. Il film ritrascrive fedelmente questo straordinario destino e l’amore sconfinato che lega i due ragazzi ma, nonostante una storia incredibile e un cast d’eccezione, affonda nell’eccessivo pathos.
Kassovitz (L’odio, Munich) e Attal (Un mondo senza pietà), prima di diventare registi e molte altre cose, sono tra i migliori attori della loro generazione. Anche con un testo minore, incarnano con grande credibilità e umanità questi fratelli in simbiosi, turbati da una sofferenza comune trasformata in segreto.
La regia di Olivier Casas, che firma anche la sceneggiatura, insiste senza sottigliezza sul contrasto tra la vita in città e quella nella natura. Da un lato, le scene dell’età adulta sono immerse in un’atmosfera grigia e opprimente; dall’altro, i momenti dell’infanzia nella foresta sono illuminati da colori caldi, campi dorati e sorrisi fraterni. Il film sottolinea il paradosso per cui l’uscita dalla foresta non rappresenta la libertà, ma segna l’ingresso nella prigione tanto temuta, quando i ragazzi vengono separati per essere “rieducati” e resi scolarizzabili. Una delle frasi più significative di La storia di Patrice e Michel è, in questo senso: “Abbiamo iniziato dalla fine, dal meglio.”
Un’occasione mancata?
Tuttavia, il film preferisce un approccio romanzato e idealizzato, sacrificando la profondità emotiva e la verosimiglianza della storia. Il risultato è un racconto che, nonostante le premesse promettenti e le interpretazioni convincenti, appare incompleto e incapace di coinvolgere pienamente lo spettatore. La storia di Patrice e Michel avrebbe potuto essere un dramma toccante sulla resilienza umana, ma le sue scelte narrative lasciano molte questioni irrisolte e una sensazione di occasione mancata.
Pur trattando ampiamente di questa vita nella natura e della “schiavitù” dei bambini, La storia di Patrice e Michel è anche e soprattutto un film sull’amore fraterno, rafforzato qui dall’eccezionale esperienza condivisa da Michel e Patrice. Questa dimensione fusionale è particolarmente incarnata nel presente, da Mathieu Kassovitz e Yvan Attal, che portano in sé la storia che li ha forgiati e il cemento indistruttibile che li lega e che ha segnato per sempre le loro vite, fino a ostacolarle.
È in questa dimensione del racconto, in cui i due fratelli tentano di riprodurre per l’ultima volta la partitura di una vita insieme nella natura selvaggia, che il regista, grazie a una regia più sobria e soprattutto al duo Kassovitz/Attal, raggiunge una precisione e un’emozione vere, mentre altrove si perde spesso nella ripetizione e nel pathos, nella pesantezza di una voce fuori campo onnipresente e di una musica invadente.
La storia di Patrice e Michel
Sommario
La storia di Patrice e Michel racconta un’incredibile vicenda di sopravvivenza e amore fraterno, ma nonostante la forza della storia vera che lo ispira e le interpretazioni convincenti di Mathieu Kassovitz e Yvan Attal, fatica a coinvolgere pienamente. La regia di Olivier Casas accentua in modo forse troppo marcato il contrasto tra la libertà della natura e l’oppressione della civiltà, sacrificando parte della profondità emotiva per un approccio più romanzato.