L’anima in pace: recensione del film di Ciro Formisano

Si torna alla pandemia nel racconto della lotta della giovane protagonista di un dramma ricco di connessioni con il nostro quotidiano.

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Ha avuto un interessante percorso, attraverso festival come l’IFFI Goa in India, quello del Cinema Italiano a Tolosa e quelli di Fano, Foggia e Napoli (dove ha vinto i premi come Miglior Film e per la Miglior Attrice a Livia Antonelli), il film che arriva in sala il 18 gennaio distribuito da Farocinema. Sostenuto dall’azienda Latte Sano, il film L’anima in pace diretto dal vincitore del Globo D’Oro Ciro Formisano (L’Esodo, L’altro buio in sala) conta sulla partecipazione di Donatella Finocchiaro e Daniela Poggi – accanto a Lorenzo Adorni (Un passo dal cielo, Maschile singolare, Adagio), Antonio Di Girolamo, Cinzia Susino e la protagonista Livia Antonelli, debuttante formatasi alla scuola Volonté – per raccontare una storia ambientata entro le barriere invisibili e invalicabili dei sobborghi.

 

L’anima in pace, la trama

Dora è una giovane di 25 anni con un carattere all’apparenza ruvido ed impenetrabile che lavora portando la spesa a domicilio, un lavoro molto pesante. Non l’unica difficoltà delle sue giornate, che ogni sera si concludono a casa della zia, dove vive con la madre Lia. Questa è una donna instabile ed inaffidabile, da poco uscita di prigione, la cui inadeguatezza ha fatto sì che i gemelli Massimo e Nunzio siano stati affidati a un’altra famiglia. Dora cerca di guadagnare soldi sia attraverso il suo lavoro sia tramite una seconda attività, illegale, consegnando le dosi che il pusher con cui ha una relazione le passa. Soldi che spera le serviranno per costruire una nuova vita, per potersi permettere il ritorno dei suo fratellini, augurandosi che la sentenza imminente possa restituirglieli, che inizia a sembrare possibile con l’arrivo di Andrea, un giovane specializzando in medicina che cerca di aiutarla e spronarla, almeno fino a quando Yuri non scopre il rapporto pulito e sincero dei due giovani, per altro osteggiato dalla madre di lui.

Le fatiche di Dora

Il sostegno dell’azienda casearia Latte Sano alla realizzazione del film è evidente (a partire dalla presenza dei locali dell’Azienda in alcune riprese), e fondante, nel bene e nel male, con il rischio che il risultato appaia quasi prodotto su committenza. Definizione che non sarebbe la più adatta a un film dal forte realismo che si potrebbe descrivere invece come ‘a tesi’, viste le implicazioni e i messaggi che la storia di crescita ed emancipazione della giovane protagonista suggerisce.

Una ragazza problematica, costretta a occuparsi del sostentamento proprio e della famiglia – disfunzionale e divisa, dai traumi passati e dalla giustizia – senza poter contare sulla madre e con tutti i mezzi. Leciti e non. Questa la premessa, sviluppata con forza quasi documentaristica nel pieno della pandemia di Covid-19, fotografata nel momento del lockdown dal quale tutti speravamo di uscire migliorati da una esperienza che oggi risulta più anacronistica di quanto sia in realtà. In parte anche per le scelte fatte nel rappresentarla.

Pregi e difetti del realismo popolare

Intorno il Quarticciolo, un contesto popolare e periferico, quello delle moderne borgate romane, delle quali si sceglie di mettere in luce con onestà gli aspetti più positivi (da solidarietà e dignità all’etica del lavoro) senza nasconderne i peggiori (microcriminalità e diverse forme di abusi e violenza, domestica primis). Peccato che le emblematiche e coinvolgenti sfide che Dora affronta e supera siano accompagnate da qualche disattenzione, figlia evidente di limiti di budget – contrastati anche con l’aiuto delle stesse comparse (scelte tra gli abitanti del quartiere, che hanno messo addirittura a disposizione la propria abitazione per le riprese) – e da una evitabile ricerca del gesto simbolico, come nell’insistenza finale sulla borsa della madre.

Personaggio a suo modo chiave, affidato alla presenza scenica e all’esperienza di Donatella Finocchiaro, cui fa da contraltare l’altrettanto speciale partecipazione di Daniela Poggi, madre borghese e diffidente del ragazzo che Dora inizia a frequentare. Figura alla quale  istintivamente verrebbe da assegnare una funzione liberatoria che nella didascalica conclusione la protagonista reclama giustamente per sé, giovane consapevole e decisa a rompere un circolo vizioso che le impedisce di – anche solo sognare – essere più di quel che è.

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