Lubo: recensione del film di Giorgio Diritti #Venezia80

Lubo, nuovo film di Giorgio Diritti, è stato presentato quest’oggi in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2023. Nel film, il camaleontico Franz Rogowski interpreta il personaggio titolare, un nomade Jedish il cui arco copre cinquant’anni di storia. Tra il dramma, alcuni tratti del revenge movie e la ricostruzione storica, Lubo è una riflessione sul concetto di giustizia, sulle contraddizioni delle istituzioni, su come un ambiente di violenza generi reazioni, ma anche una storia i cui personaggi sono profondamente mossi dall’amore.

 

Lubo, lo Jenisch privato di affetti e valori

Nel 1939, Lubo Moser, un artista di strada nomade di origine yenish, viene chiamato a prestare servizio militare nell’esercito svizzero per proteggere il confine. Viene a sapere da suo cugino che la polizia ha sequestrato i suoi figli nell’ambito del Kinder der Landstrasse (“Bambini della strada”), un programma di rieducazione nazionale influenzato dai principi dell’eugenetica. Lubo cerca senza sosta i suoi figli e si propone di vendicarsi a modo suo per il torto subito.

Il romanzo di Mario CavatoreIl Seminatore” si concentra su vicende storiche poco note, le persecuzioni contro una minoranza nomade, gli Jenisch, i cui figli sono stati portati via per essere “rieducati” nel periodo tra gli anni Trenta e gli anni Settanta. Le stime delle ricerche parlano di circa 2.000 bambini sottratti alla minoranza Jenisch. Uno studio che ha colpito Diritti in modo inquietante e particolarmente stridente per un Paese democratico e civilizzato come la Svizzera, la Confederazione Elvetica, spesso citata come “esempio virtuoso” di rapporto tra cittadini e istituzioni.

Lubo mette in luce gli effetti dannosi provocati da principi irrazionali e leggi discriminatorie, che penetran nella società alla manieradi un contagio, impattando la quotidianità, i percorsi e i valori della gente. Una trasformazione che scatena al contempo dolore, rabbia, violenza e ambiguità ma tramite la quale emerge anche un profondo amore per la vita e per i propri figli, un sentimento che cerca di sopravvivere a qualsiasi ostacolo e di ripristinare la giustizia.

Franz Rogowski in una scena del film Lubo

Un camaleontico Rogowski

Dopo la notevole prova in Passages di Ira Sachs Franz Rogowski, che per il cinema italiano aveva interpretato anche il villain di Freaks Out, mette anima e corpo nel ritratto di un personaggio che è colonna portante dell’intero film. Lubo consente a questo attore poliedrico di sperimentare tanto sul piano linguistico – qualcosa in cui Rogowski si sta progressivamente specializzando e ne sta favorendo la fama internazionale – quanto su quello fisico. Non c’è un solo Lubo, le declinazioni di questa personalità vagabonda sono molteplici, dipendono dal contesto, dal periodo storico e dalle persone che Lubo incontra sul suo cammino: Rogowski, pilastro della buona riuscita del film, riesce a distinguerle tutte in maniera precisa.

Lubo si presenta come imponente produzione internazionale: è un film itinerante, che passa per tanti luoghi storici e ne ricrea altrettanti. Lo sforzo produttivo è evidente e, dal punto di vista registico, Diritti trae massimo profitto dalla suggestività delle location in cui la storia prende piede, inquadrando il personaggio di Rogowski come parte fondamentale del paesaggio, caratterizzandolo secondo un disegno topografico.

Un film intriso di umanità

Sebbene la sceneggiatura di Lubo non risulti sempre convincente – un secondo atto forse troppo allungato si oppone a una prima parte dall’ottimo equilibro narrativo – la scrittura di Giorgio Diritti è infusa di un’umanità necessaria, tanto per i suoi personaggi quanto per la Storia di ieri e di oggi, intercettata dagli interpreti e di fronte a cui il pubblico non rimarrà indifferente. La durata complessiva di tre ore potrebbe spaventare ma, a parte qualche inciampo in termini di ritmo nella seconda parte, il film non si trascina mai, scorre seguendo le urgenze emotive di un nomade e outsider a cui è stato tolto tutto, e che si lancerà in una personale battaglia per soddisfare un bisogno di appartenenza, coesistenza in un nucleo da chiamare famiglia.

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